Il trasferimento di una massa di suolo sano in un’area degradata può garantire un rapido ripristino, spiegano i ricercatori del Netherlands Institute of Ecology. Un dato importante alla luce dello scenario globale. Ma servono ulteriori studi
di Matteo Cavallito
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Il trapianto di suolo sano può contribuire in modo significativo alla rigenerazione del terreno malato. Lo sostiene uno studio del Netherlands Institute of Ecology (NIOO-KNAW). L’indagine, pubblicata sul Journal of Applied Ecology, ha messo a confronto 46 esperimenti sul campo in 17 Paesi di quattro diversi continenti, spiega una nota della stessa organizzazione, rivelando come le aree che necessitano di un ripristino naturale traggano beneficio da questo tipo di intervento.
“Dai tropici alla tundra, il trapianto di suolo migliora significativamente le possibilità di ripristinare la vegetazione con specie di alto valore conservazionistico, soprattutto se applicato su vaste aree”, ha dichiarato Jasper Wubs, il ricercatore che ha guidato l’équipe internazionale di studiosi che ha affiancato nel lavoro l’istituto dei Paesi Bassi.
Gli esperimenti
Dalle praterie alle foreste pluviali, esiste un’ampia gamma di siti naturali che necessitano di essere ripristinati. Il trapianto di suolo consiste nel trasferimento di una massa di terreno sano – che comprende la sua intera biodiversità, inclusi i microorganismi e i semi delle piante – in un’area soggetta a degrado. In questo modo, spiegano gli scienziati, è possibile garantire un ripristino rapido. Per verificare la validità dell’ipotesi gli autori hanno registrato la composizione vegetale e i suoi cambiamenti nei siti sperimentali.
“Abbiamo riscontrato che la traslocazione del suolo porta a uno sviluppo più ampio della comunità vegetale rispetto a quello garantito dai trattamenti basati sulla semplice introduzione di propaguli (ovvero semi, spore e altri elementi in grado di generare la vita, ndr)”, si legge nella ricerca.
I risultati sono stati comunque variabili evidenziando, quindi, l’importanza di alcuni fattori chiave. I ricercatori, ad esempio, hanno scoperto che “il successo del ripristino è stato maggiore sui terreni argillosi e nelle aree più estese, come quelle con una superficie superiore a 180 metri quadri”.
Il suolo trapiantato aggiunge materia organica e altre proprietà
A conti fatti, in ogni caso, nei terreni soggetti al trapianto si sono evidenziate una maggiore abbondanza vegetale e una più significativa ricchezza di specie nel confronto con le aree trattate con i metodi di ripristino tradizionali. “Per i siti fortemente degradati, come le aree di scarico o i cantieri ad esempio, la maggiore presenza di piante potrebbe essere legata alla capacità del suolo trapiantato di fornire un substrato per l’insediamento e la crescita”, spiega la ricerca.
E ancora: “Il suolo traslocato aggiunge materia organica, oltre ad altre proprietà chimiche e fisiche, tra cui la ritenzione idrica, necessarie per la germinazione e la sopravvivenza delle piante”.
“Il recupero ecologico è difficile e spesso imprevedibile. Si tende a guardare solo al recupero in superficie, ma noi abbiamo dimostrato che la chiave del successo si trova sotto terra”, ha dichiarato Wubs. “Siamo ora in grado di ripristinare ecosistemi diversi in luoghi in cui la rigenerazione naturale non è sufficiente. Ma allo stesso tempo, dobbiamo esplorare il motivo per cui il ripristino ha più successo in alcuni casi rispetto ad altri”.
A rischio il 90% dei terreni del Pianeta
Lo sviluppo di nuove tecniche di rigenerazione assume un’importanza decisiva in un contesto globale fortemente problematico. “I suoli mondiali sono stati ignorati così a lungo che ad oggi il 33% è degradato e, se le pratiche di gestione continueranno a essere quelle attuali e se non si interverrà per tutelare questa importante risorsa, si stima che questa percentuale possa raggiungere oltre il 90% nel 2050”, ha ricordato in occasione degli ultimi Stati generali della salute del suolo ,Lucrezia Caon, Land and Water officer della FAO e coordinatrice della rete globale di laboratori sul suolo (GLOSOLAN).
La situazione è altrettanto preoccupante in Europa. Oggi il 60-70% dei suoli UE presenta qualche forma di degrado. Nel Vecchio Continente, in particolare, si calcolano 2,8 milioni di siti contaminati. Mentre per il 65-75% dei suoli agricoli l’apporto di nutrienti raggiunge livelli tali da creare possibile eutrofizzazione e da incidere sulla biodiversità. Il 25% dei terreni nell’Europa meridionale, centrale e orientale, inoltre, è a rischio alto o molto alto di desertificazione. Si stima che i costi associati al degrado del suolo nell’UE superino i 50 miliardi di euro all’anno.