17 Settembre 2021

DamiaNo di Simine (coordinatore scientifico Legambiente): “Il tema della salute dei terreni diventerà sempre più centrale. Per tutelare clima e sicurezza alimentare bisogna operare in tre direzioni: modificare il sistema di produzione del cibo, ripensare le nostre diete e esigere lo stop al consumo di suolo. A partire dai futuri sindaci”

di Emanuele Isonio

 

Ascolta “Damiano Di Simine: “Il sistema agroalimentare deve ripensare se stesso”” su Spreaker.

Produzione agricola, sicurezza alimentare, resilienza delle aree urbane agli eventi meteo estremi, contrasto alla crisi climatica, rigenerazione urbana, tutela della sostanza organica e dei servizi ecosistemici. C’è un unico filo conduttore, nemmeno troppo nascosto, dietro questi temi cruciali per il futuro umano. Quel comune denominatore è il suolo. Troppo degradato, oggi, per essere un alleato in queste sfide epocali. Proprio partendo dalla sua tutela e avendo un approccio integrato delle diverse questioni aperte possiamo pensare di ottenere i risultati necessari. Ce lo spiega Damiano Di Simine, coordinatore scientifico di Legambiente.

Dott. Di Simine, lei interverrà il 1′ ottobre prossimo alla conferenza online organizzata da Re Soil Foundation. La sua relazione ha un titolo che è illuminante: “Bioeconomia, sostenibilità alimentare, obiettivi climatici sono tutti alimentati dallo stesso suolo”. Partiamo proprio da qui: ci spiega perché dobbiamo avere una visione olistica di questi temi?

Per una semplice considerazione geometrica: il suolo è una superficie limitata dalla quale ci aspettiamo moltissimo. Ma dobbiamo fare i conti col fatto che questa superficie non è incrementabile. Non è desiderabile né possibile estendere le superfici di suolo attualmente utilizzate per le coltivazioni. Le richieste che arrivano dall’economia, dai consumatori, dalla produzione del cibo sono importanti: il suolo è in grado di far fronte a tutte. Sia per la produzione di materie prime alimentari sia per altri sentieri della bioeconomia. Dobbiamo però tenere presente che la risorsa è limitata.

Questo impone quindi delle scelte….

Indubbiamente il sistema agroalimentare è quello che deve mettersi più in discussione. Non per rinunciare alla sicurezza alimentare, per carità. Ma evidentemente la modalità con cui il sistema agroindustriale legato ai consumi usa il suolo non è più sostenibile ad esempio rispetto all’aumento della popolazione.

Se ci concentriamo sulla Ue, non possiamo fare a meno di pensare che i 2/3 del suolo vengono usati per produrre mangimi per animali da allevamento. C’è qualcosa che non va in questo utilizzo del suolo.

Mi corregga se sbaglio, ma mi pare che siamo ancora lontani da rendere questa visione olistica un approccio mainstream?

C’è molta discussione, soprattutto nell’ambito dei sistemi alimentari. Devo dire che le strategie Farm to Fork e sulla biodiversità presentate dalla Commissione europea nel 2020 vanno nella giusta direzione. Dobbiamo preoccuparci di gestire il suolo dal quale ricaviamo le nostre risorse alimentari in modo sostenibile ed appropriato. Anche modificando il sistema sul versante della produzione e dei nostri consumi.

Dobbiamo metterci in testa di cambiare i nostri stili alimentari?

Aggiornare le diete globali è diventato ormai un imperativo. Il come farlo, per esempio per ridurre l’input di alimenti di origine animale, è ancora tutto da costruire, soprattutto sul piano degli interventi legislativi, delle normative, degli incentivi. Non c’è dubbio che se vogliamo una produttività del suolo adeguata, dobbiamo mettere in discussione il nostro food system. Non possiamo permetterci di trasformare suoli attualmente forestali o a pascolo in nuovi seminativi. Questa sarebbe una nuova debacle per la sfida climatica. Dobbiamo imparare a produrre tutto quello che ci serve a partire dallo stock di suoli coltivati di cui già disponiamo sia a livello europeo sia a livello globale.

La tutela del suolo è quindi il presupposto per riuscire quindi a centrare gli obiettivi in favore di clima e sicurezza alimentare. Lei è anche coordinatore scientifico del progetto Soil4Life. Secondo lei, il tema suolo sarà centrale nelle discussioni della PreCop26 di Milano e nella successiva Cop26 di Glasgow o è ancora marginale rispetto ad altri temi?

Oggi sono altri i temi tengono banco. Penso a quelli sull’uscita dall’economia fossile e sulla transizione energetica. La questione suolo però è destinata ad acquistare crescente importanza e spessore. Da un lato è una risorsa che, in rapporto alle domande che esprimiamo, è limitata. Dall’altro lato, abbiamo a che fare con un processo di degrado del suolo, anche alimentato dal cambiamento climatico, che invece dà segnali molto preoccupanti di controtendenza. Abbiamo bisogno di tutto il suolo coltivato per produrre ciò che ci serve. Non possiamo quindi permetterci che il suolo coltivato venga degradato e vada incontro a processi di erosione, desertificazione o peggio ancora di un suo uso non efficiente rispetto ai nostri bisogni. Penso ovviamente della cementificazione.

Sicuramente il tema del suolo legato al tema della bioeconomia e in generale del food system è destinato a diventare sempre più protagonista nella discussione climatica futura. Credo già a Glasgow.

Rapporto fra desertificazione, perdita di biodiversità e cambiamento climatico. FONTE: Corte dei conti europea, sulla base del testo del World Resources Institute, intitolato “Ecosystems and Human Well-being: Desertification Synthesis”, 2005, pag. 17.

Rapporto fra desertificazione, perdita di biodiversità e cambiamento climatico. FONTE: Corte dei conti europea, sulla base del testo del World Resources Institute, intitolato “Ecosystems and Human Well-being: Desertification Synthesis”, 2005, pag. 17.

A proposito di consumo di suolo, in Italia il fenomeno prosegue a ritmi impressionanti: 2 metri quadri al secondo, certificava l’ultimo rapporto ISPRA. Come si ferma questo trend?

Si ferma con politiche di autentica rigenerazione urbana. Bisogna fare in modo che i nuovi bisogni insediativi e soprattutto infrastrutturali (perché sono in larga parte le infrastrutture che provocano consumo di suolo) trovino soddisfacimento nell’enorme quantità di terreni già consumati. Anzi, probabilmente abbiamo bisogno di decementificare una parte del territorio. Questo è un problema soprattutto perché dobbiamo far coincidere questo bisogno di riusare suoli urbanizzati con i tempi dell’economia.

In questo momento il processo economico che sta dando maggiore impulso al consumo di suolo è quello dei capannoni logistici: questo settore economico ha degli imperativi di tempo che non si conciliano con la rigenerazione urbana o dei sedimi industriali dismessi. Per questo si crea un paradosso: nella Pianura padana, ma anche nel resto d’Italia, vediamo spuntare molti nuovi capannoni mentre restano intoccati capannoni vicini anche se abbandonati da anni. Questo avviene perché la logistica ha esigenze di tipo temporale che sono incompatibili con il recupero delle aree dismesse che richiedono tempi più lunghi.

Il consumo di suolo nelle diverse regioni d'Italia. Valori percentuali e confronto 2019-2020. FONTE: Rapporto Consumo di Suolo, ISPRA 2021.

Il consumo di suolo nelle diverse regioni d’Italia. Valori percentuali e confronto 2019-2020. FONTE: Rapporto Consumo di Suolo, ISPRA 2021.

Con lei vorrei concentrarmi anche sulla descrizione di buone pratiche che stanno dimostrando di funzionare. Credo sia molto importante enfatizzare il fatto che esistono modi per invertire la rotta. Ci sono esempi da sottolineare?

Ce ne sono in molti ambiti. Possiamo pensare al sistema che sta usando la città di Milano. Da vari anni, la città ha smesso di generare periferie informi, valorizzando il già costruito. Il modello non è totalmente positivo perché porta con sé grosse contraddizioni di tipo sociale. Ma possiamo senza dubbio affermare che è una città che, nonostante da anni non abbia importanti crescite di consumo di suolo, dal punto di vista economico sta comunque funzionando abbastanza bene.

Il caso di Milano prova che non è più vero che consumare suolo è una opzione economicamente vincente.

Se pensiamo alle altre pratiche di uso del suolo sostenibile (lotta al degrado del suolo, di conservazione della fertilità), poi, va enfatizzato il campo dell’agricoltura biologica e biodinamica italiana: è questo uno dei settori che sta dando enormi soddisfazioni in termini sia di economia sia di miglioramento della qualità del suolo. Il comparto è in forte crescita con positive risposte da parte dei consumatori. Ed è un settore in cui la tutela del suolo e della sua fertilità è prioritario.

Il settore biodinamico è finito al centro di molte critiche sulla sua efficacia?

E invece è quello che più pone la tutela del suolo al centro della propria pratica agricola  In questi casi, non solo a livello di singola azienda ma a livello di sistema, l’Italia sta facendo cose eccelse. Purtroppo non è il dato medio del nostro Paese che, per quanto riguarda le dinamiche di degrado del suolo e di desertificazione, ha al contrario dei valori di segno negativo. Indubbiamente però la strada è tracciata da chi fa agricoltura investendo in sostenibilità e attenzione al suolo. La risposta del mercato sta premiando queste prassi.

Molti dei problemi connessi con suolo e clima vanno trattati a livello mondiale. L’appuntamento di Cop26 sarà quindi un momento fondamentale. Le sue risposte fanno comprendere però che molto si può fare anche a livello locale. A ottobre, oltre a Milano, andranno al voto molte grandi città italiane per il rinnovo delle amministrazioni comunali. Quali impegni ritiene che dovremmo chiedere ai candidati sindaci?

Dovremmo innanzitutto chiedere dei piani urbanistici a crescita zero di consumo di suolo. Ma andiamo oltre: dobbiamo chiedere che nelle città si facciano processi di rigenerazione che non siano semplicemente sostituzione di cemento con nuovo cemento. Abbiamo bisogno di processi che prevedano l’introduzione di infrastrutture verdi, spazi di socialità aperti, cinture verdi attorno alla città che garantiscano il miglioramento non solo del suolo come superficie ma anche della qualità e della quantità dei servizi ecosistemici che il suolo può fornire. Serve quindi una progettazione della città e del suo sviluppo che non consideri solo la funzione insediativa residenziale e industriale ma valorizzi tutte quelle opere che servono a migliorare la qualità urbana, la resilienza dell’organismo urbano che vanno sotto il nome di Nature based solutions, ovvero soluzioni basate sulla natura.

Le Nature based Solutions sono di azioni ispirate, supportate o mutuate dalla natura. Il concetto, relativamente recente, è stato utilizzato dalla Commissione UE per identificare strategie, azioni, interventi, basati sulla natura capaci di fornire servizi ambientali e vantaggi socio-economici in grado, se svolti in contesto urbano, di aumentare la resilienza delle città. FONTE: IUCN.

Le Nature based Solutions sono di azioni ispirate, supportate o mutuate dalla natura.
Il concetto, relativamente recente, è stato utilizzato dalla Commissione UE per identificare strategie, azioni, interventi, basati sulla natura capaci di fornire servizi ambientali e vantaggi socio-economici in grado, se svolti in contesto urbano, di aumentare la resilienza delle città. FONTE: IUCN.