3 Giugno 2021

Si moltiplicano le scuole italiane che utilizzano esperimenti e indagini di laboratorio per testare i vantaggi della bioeconomia e creare nuove professionalità e materiali amici del suolo. Da Verbania, Ravenna e Città di Castello tre esempi virtuosi

di Emanuele Isonio

 

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Favore, libri, scatole didattiche, percorsi di alternanza scuola-lavoro, esperimenti di laboratorio, produzione di carburanti di origine vegetale, confronto dell’impatto ambientale tra plastiche tradizionali e bioplastiche, sfilate di moda con abiti realizzati con materiali di riciclo, ispirandosi a celebri dipinti del passato, pièce teatrali sui temi della sostenibilità, cartoni animati sceneggiati dagli studenti. Il filo conduttore è lo stesso: la bioeconomia e i suoi principi che permettono di far diventare i materiali di scarto di origine vegetale la base per nuove materie prime, rispettose di suolo, ecosistemi e clima.

In Italia gli istituti tecnici che stanno abbracciando la chimica verde per rendere i propri allievi protagonisti attivi della transizione ecologica si moltiplicano. E con loro, anche le best practice che possono fortunatamente essere raccontate. Un vantaggio anche per i ragazzi stessi: sui banchi di scuola (e nei laboratori) si costruiscono professionalità preziose per il mercato del lavoro presente e futuro.

Un assaggio di questa alleanza tra bioeconomia e scuola è stato presentato in occasione del terzo Bioeconomy Day, in un evento promosso da Re Soil Foundation e APRE (Agenzia per la Promozione della Ricerca Europea). Tre scuole di tre regioni diverse hanno presentato i percorsi avviati dai propri studenti. Con risultati decisamente originali.

Verbania, esperimenti con fondi di caffè e semi di zucca

Nell’istituto tecnico piemontese Lorenzo Cobianchi di Verbania sono stati sviluppati da anni dei progetti per trasformare gli scarti in nuove risorse. I rifiuti di origine vegetale sono stati utilizzati sia per produrre nuove sostanze, sia come applicazione per rimuovere gli inquinanti da alcuni fluidi. “Il nostro obiettivo – spiega Angelo Gulotta, una dei docenti coinvolti nell’iniziativa – è di ottenere materiali a basso costo per rimuovere floruri nell’acqua attraverso materie prime naturali e di facile reperibilità anche nei Paesi in via di sviluppo, come i gusci d’uovo e alcune alghe d’acqua dolce”.

In un altro progetto denominato C-Apture la polvere di caffè esausto è alla base di carburanti ecosostenibili. È stata infatti trasformata in una matrice dalla quale ottenere un olio che può essere esterificato per ottenere biodiesel e un residuo solido da bruciare dopo l’agglomerazione in pellet” prosegue Gulotta. Altri materiali, come semi di zucca e ippocastano sono stati sintetizzati in biopolimeri, estremamente utili per la produzione di bioplastiche.

“Questa pandemia – racconta Marta Alaimo, studentessa del quinto anno del Corso di Chimica, materiali e biotecnologie dell’istituto piemontese – ci ha spinto a riflettere sull’importanza di creare materiali biodegradabili e biocompostabili per ridurre l’inquinamento da plastiche e microplastiche che danneggiano mari e suolo e hanno ricadute preoccupanti sulla nostra salute”.

Gli studenti dell'Istituto Cobianchi di Verbania hanno utilizzato i fondi esausti di caffè per realizzare biopolimeri compostabili. Un esempio di come la bioeconomia forma cittadini consapevoli. FOTO: Istituto Lorenzo Cobianchi di Verbania.

Gli studenti dell’Istituto Cobianchi di Verbania hanno utilizzato i fondi esausti di caffè per realizzare biopolimeri compostabili. Un esempio di come la bioeconomia forma cittadini consapevoli. FOTO: Istituto Lorenzo Cobianchi di Verbania.

In Umbria si toccano con mano i vantaggi delle bioplastiche

L’analisi dei vantaggi ecologici dell’uso di bioplastiche al posto dei polimeri tradizionali è stata invece alla base del progetto Rinnova 2020, sviluppato da un’altra scuola superiore, il Polo Tecnico Franchetti Salviani di Città di Castello. Durante alcuni percorsi di alternanza scuola-lavoro gli studenti hanno visitato aziende impegnate nei comparti biogas e bioenergia. In laboratorio poi, hanno pensato di utilizzare scarti di frutta e oli esausti come base per il biodiesel.

Non solo: gli studenti hanno sotterrato all’interno di suoli umidi anche delle vecchie diapositive realizzate con plastica tradizionale e con film plastici in mater-bi. Dopo 9 mesi dall’inizio del test i residui della bioplastica non erano più visibili. I test con i sacchetti compostabili hanno verificato che la degradazione ha raggiunto stadi avanzati in appena quattro settimane, mentre i sacchetti tradizionali rimanevano intatti. “Il prossimo anno – spiega Giorgia Giustinelli, studentessa che frequenta il 4° anno all’istituto umbro – abbiamo deciso di dedicarci ad approfondire l’apporto positivo che possiamo dare ai nostri terreni grazie all’uso di nuovi biomateriali. Studieremo la composizione dei suoli e della loro fertilità, studieremo metodi di bonifica di siti inquinati e approfondiremo i processi di compostaggio”.

Ravenna, dalle favole ai laboratori didattici

A Ravenna invece è stato sviluppato, a partire dal 2018, il progetto “Darsena in Blu“. A promuoverlo, l’Istituto Comprensivo Darsena di Ravenna grazie al sostegno della Fondazione Raul Gardini. L’idea è stata quella di usare alcune favole dedicate alla bioeconomia come base per alcuni laboratori didattici. Ad essi, hanno preso parte 830 studenti e 36 classi dalla scuola dell’infanzia fino alle secondarie di 1° grado. A scrivere le favole, l’imprenditore ed economista belga Gunter Pauli, teorico del concetto di blue economy.

“La nostra scuola – spiega Mariarosaria Ruggiero, una delle docenti dell’istituto – si è sempre caratterizzata per attività di tipo laboratoriale. Hanno permesso agli studenti più piccoli di creare giochi dell’oca, libri illustrati, filastrocche sonorizzate sul tema del rapporto tra azioni umane e ambiente. I ragazzi più grandi hanno studiato le caratteristiche delle alghe e hanno appreso che possono essere un modo alternativo per produrre fibre tessili. La filiera del cotone infatti ha un grande impatto ambientale”. Gli studenti si sono improvvisati poi imprenditori e artisti. Hanno creato un vero e proprio brand di moda sostenibile, con tanto di sfilata di abiti realizzati con materiali di riciclo ispirati a famosi quadri della storia dell’arte.

L’importanza di nuovi metodi di insegnamento

Pensate per stimolare la creatività e il pensiero divergente, le favole sulla bioeconomia “pongono domande e interrogativi aperti, non forniscono soluzioni già precostituite ma spingono gli alunni a farsi domande e a trovare soluzioni innovative” segnalano ancora i promotori. Uno stimolo a uscire dagli steccati dell’istruzione a “compartimenti stagni” per abbracciare un nuovo stile didattico.

“Questo è esattamente ciò di cui ha bisogno il nostro Paese” commenta Giovanni Sannia, componente Comitato Tecnico Scientifico di SPRING, associazione sviluppata da alcune realtà della chimica verde italiana per incoraggiare lo sviluppo delle bioindustrie attraverso un approccio olistico all’innovazione. “Abbiamo bisogno di nuovi metodi di educazione e di formare nuove figure professionali, dalle elementari fino alle scuole superiori. Quese possono poi trovare sbocco nella pratica quotidiana delle imprese”. Con vantaggi indubbi per l’ambiente e per l’intero sistema-Paese.