Nel mondo ci sono almeno 139 miliardi di tonnellate di carbonio che una volta disperse non possono essere bilanciate in tempo utile. Fondamentale la tutela delle aree a rischio e delle comunità indigene
di Matteo Cavallito
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Le immense foreste della Russia e del Nord America, l’Amazzonia, la pianura congolese e le distese tropicali del Sud Est Asiatico: sono le principali casseforti di carbonio da proteggere ad ogni costo. Lo evidenzia una ricerca pubblicata nelle scorse settimane dalla rivista Nature. Analizzando una mole di dati su scala globale, gli scienziati della ONG Conservation International hanno mappato le riserve di carbonio del Pianeta concentrando l’attenzione su quelle più vulnerabili.
A caratterizzare queste ultime è un ritmo di ripristino troppo lento che impedisce alle piante e al suolo di recuperare una quantità di elemento perduto sufficiente a pareggiare il saldo entro il 2050. La data limite per l’azzeramento delle emissioni nette. Senza un’adeguata protezione di questi territori, insomma, il mondo rischia di fare i conti con un danno permanente.
Il carbonio irrecuperabile vale 139 miliardi di tonnellate
Il carbonio momentaneamente sequestrato in queste aree viene così definito “irrecuperabile”. Nel mondo, affermano i ricercatori, il suo peso complessivo ammonta a non meno di 139 miliardi di tonnellate, una quantità destinata a ridursi in assenza di adeguata protezione. Negli ultimi dieci anni, ad esempio, le tonnellate disperse irrimediabilmente a causa di fenomeni come l’agricoltura, l’allevamento intensivo e gli incendi ammontano a 4 miliardi.
“Il contrasto a un cambiamento climatico catastrofico implica una rapida decarbonizzazione e una migliore gestione dell’ecosistema su scala planetaria”, si legge nella ricerca. “Il carbonio rilasciato attraverso la combustione delle fonti fossili richiederebbe millenni per rigenerarsi. Negli ecosistemi come torbiere, mangrovie e foreste di vecchia crescita, il lasso temporale si riduce a qualche secolo, un periodo comunque superiore a quello che ci rimane per evitare i peggiori impatti del riscaldamento globale”.
Allarme deforestazione
Secondo gli scienziati, la quota irrecuperabile rappresenta circa un quinto del carbonio gestito dagli ecosistemi. Il 57% si colloca nella biomassa, il restante 43% nel suolo. L’ammontare complessivo delle riserve di carbonio a rischio potrebbe però aumentare in futuro a causa dell’espansione dell’agricoltura. Questo fenomeno, in particolare, interesserebbe potenzialmente un quantitativo totale pari a 18,4 miliardi di tonnellate.
“Poiché l’83% delle aree che conservano il carbonio irrecuperabile possiede una copertura arborea, le stime basate sul cambiamento della superficie delle foreste sono un indicatore valido per la perdita di carbonio stesso nell’ultimo decennio”, segnala la ricerca.
“Il ridimensionamento della copertura è causato principalmente dalla deforestazione legata allo sviluppo dell’allevamento, della coltivazione di soia e olio di palma e dell’industria della fibra di legno, dall’agricoltura itinerante nei tropici, dalla silvicoltura e dagli incendi nelle zone temperate e boreali. Questa perdita ammonta a 1,65 miliardi di tonnellate. In altre parole fino a un quinto delle emissioni annuali legate alla deforestazione (8,1 miliardi di tonnellate) potrebbe essere irreversibile per almeno tre decenni”.

La distribuzione del carbone irrecuperabile nel mondo. Immagine: Noon, M.L., Goldstein, A., Ledezma, J.C. et al. Mapping the irrecoverable carbon in Earth’s ecosystems. Nat Sustain (2021). Attribution 4.0 International (CC BY 4.0)
Le comunità indigene custodi del carbonio
Circa metà del carbonio irrecuperabile del mondo si colloca su una superficie di 4,9 milioni di chilometri quadrati, pari ad appena il 3,3% delle terre emerse. “Questo significa che gli sforzi per contrastare i rischi attuali e futuri potrebbero essere estremamente efficaci se condotti in primo luogo nelle aree con le più alte concentrazioni per ettaro”. L’attenzione corre soprattutto alle aree protette e ai territori delle comunità indigene che, da sole, ospitano 67 miliardi di tonnellate dell’elemento. Proteggere i diritti delle comunità native, in altre parole, non significa soltanto tutelare i diritti umani ma anche garantire l’equilibrio del Pianeta.
L’agricoltura deve guardare altrove
L’elenco delle azioni da intraprendere include diverse strategie a seconda delle caratteristiche del territorio. “Alcune regioni con alto carbonio irrecuperabile, come la taiga della Baia di Hudson meridionale e quella della Siberia occidentale così come le foreste di pianura congolesi”, notano ad esempio i ricercatori, “affrontano alti rischi di cambiamento climatico ma minori rischi di conversione dell’uso del suolo”. In questi luoghi, di conseguenza, “è possibile agire attraverso strategie specifiche, come la gestione dei parassiti e degli incendi, per aumentare la resilienza dell’ecosistema”.
Diverso il discorso per le foreste tropicali dove la pressione per la riconversione della terra è più forte. “In questi luoghi ad alto rischio di conversione, il carbonio irrecuperabile può essere protetto con azioni diverse”, rileva lo studio. Oltre al sostegno alle comunità locali, la lista degli interventi include la messa sotto tutela delle terre private, una politica di sviluppo agricolo concentrata sulle zone già convertite e degradate (capace quindi di escludere le aree ad alto contenuto di carbonio) e la concessione di fondi internazionali specifici per il finanziamento delle politiche di conservazione.