L’impiego tecnologico dei nanomateriali nella stabilizzazione del terreno, scrive la rivista di settore AZoNano, avviene con un impatto ambientale ridotto rispetto a quello generato dall’uso delle tecniche tradizionali
di Matteo Cavallito
Le nanotecnologie e i nanomateriali offrono soluzioni importanti per il miglioramento della tenuta del suolo. Lo sostiene un articolo pubblicato sulla rivista di settore AZoNano. “Le nanotecnologie sono state applicate alle pratiche di miglioramento del suolo per offrire un’alternativa ecologica ed economica alle tecniche tradizionali”, scrive Priyom Bose, ricercatrice della University of Madras, in India, ed esperta di biotecnologia.
I nanomateriali, ricorda, possiedono molte proprietà biologiche, meccaniche, ottiche ed elettriche e sono definiti come tali quando le loro strutture non superano in lunghezza i 100 nanometri (un decimillesimo di millimetro). “Nel corso degli anni, le applicazioni delle nanotecnologie per l’ottimizzazione del suolo sono andate migliorando”, aggiunge.
Nanomateriali per il suolo
Il suolo è composto da particelle di terreno tra le quali si collocano acqua e aria. Quando i nanomateriali vengono aggiunti al suolo, la loro microstruttura influenza la resistenza del terreno stesso, modificando il fluido dei pori e aumentando la forza di legame all’interno delle particelle.
“Grazie alle loro piccole dimensioni, le nanoparticelle possono facilmente disperdersi nello spazio dei pori del suolo, in particolare tra le polveri più fini che non sono sottoposte ad alta pressione”, si legge nell’articolo.
Le tecniche tradizionali utilizzate per migliorare la resistenza del suolo, come la stuccatura che implica l’utilizzo di cemento, silicato di sodio o acrilato, possono generare elevati costi provocando un forte impatto ambientale. L’aggiunta di nanomateriali come stabilizzatori del terreno, invece, “può ridurre significativamente il disturbo ambientale poiché non richiede l’infusione ad alta pressione”. I comuni nanomateriali, inoltre, “sono inerti e non tossici, e non danneggiano il suolo e le falde acquifere”. Essi, infine, possono essere applicati in quantità ridotte,
Molteplici esempi
Tra gli esempi di nuovi materiali, aggiunge Bose, si ricorda l’uso dei nanotubi di carbonio (CNT), ricavato dal grafene. Si tratta di “fogli sottilissimi di atomi di carbonio disposti in modo esagonale che vengono arrotolati a tubo generando un materiale più resistente dell’acciaio ma molto più leggero”. Il prodotto che ne deriva vanta importanti proprietà elastiche e “ha un alto potenziale come riempitivo all’interno dei grani di cemento capace di rendere il composto più denso, solido e resistente”.
Non mancano ulteriori esempi. La silice colloidale, ricorda la ricercatrice, è una dispersione acquosa di silice microscopica usata per migliorare la resistenza alla compressione della sabbia.
La nanobentonite, invece, è un’argilla lavorata che vanta significative proprietà di assorbimento dell’umidità e funziona come additivo per ridurre la perdita di fluido nella formazione rocciosa durante le operazioni di perforazione. La laponite, da parte sua, è composta da fogli sintetici di nanoparticelle di silicato e ha dimensioni 10 volte inferiori rispetto alla bentonite: “In un ambiente acquoso, la laponite si disperde in una sospensione incolore con buone proprietà reologiche” (come fluidità, resistenza alle deformazioni etc., ndr), spiega Bose.
L’importanza dei nanosensori
Lo sviluppo dei nanomateriali per il suolo rappresenta solo uno dei possibili impieghi della nanotecnologia. Quest’ultima, infatti, può essere utilizzata per ulteriori scopi, inclusa – tra le altre cose – l’analisi dei frutti stessi del terreno. Alcuni specifici nanosensori, ad esempio, possono essere usati per rilevare la presenza di pesticidi o di altre sostanze nocive nel cibo.
Di recente, alcuni ricercatori del Dipartimento di Microbiologia del Karolinska Institutet di Stoccolma hanno illustrato un nuovo sistema per realizzare in laboratorio un grande numero di rilevatori decisamente efficaci.
Alla base della loro iniziativa c’è l’atomizzazione in gocce e la successiva combustione di una soluzione a base di argento e silicio. L’operazione genera le nanoparticelle che possono essere depositate direttamente su un substrato di vetro creando così una nuova nanostruttura di superficie. Che, hanno spiegato gli scienziati. può essere utilizzata per un’analisi spettroscopica che consente di rilevare la composizione chimica di una sostanza ovvero la presenza di alcune molecole specifiche. Comprese quelle dei pesticidi.