10 Novembre 2022

L’ipotesi dei ricercatori britannici: sfruttando l’azione dei microorganismi è possibile stoccare l’energia nel terreno. Una soluzione che consentirebbe di ridurre l’impatto globale delle batterie tradizionali. Ma per l’applicazione su larga scala servirà ancora tempo

di Matteo Cavallito

 

Usare il suolo per immagazzinare energia solare? È possibile, almeno in teoria. Ne sono convinti alcuni ricercatori britannici, attualmente impegnati in un progetto finanziato dal governo del Regno Unito attraverso il programma UK Research and Innovation. Per ora è solo una suggestione, d’accordo. Ma in futuro, forse, l’intuizione potrebbe concretizzarsi. L’ipotesi, del resto, non fa una piega. Se è vero che tutte le batterie sfruttano un procedimento chimico per il trasferimento dell’energia, si chiedono gli scienziati, per quale motivo non dovrebbe essere possibile utilizzare le reazioni che avvengono continuamente nel terreno? Ed è qui che entrano in gioco i vero protagonisti di questa vicenda: i microorganismi, naturalmente.

L’ipotesi

L’idea dei ricercatori è quella di inviare l’elettricità dai pannelli solari a una serie di elettrodi interrati stimolando la reazione dei batteri del terreno. “Se si mette energia a disposizione dei microrganismi, questi la useranno in qualche modo per sopravvivere”, ha dichiarato Michael Harbottle, uno degli studiosi coinvolti, a Euronews. “Proprio come se si trattasse di cibo, se si fornisce energia elettrica, alcuni organismi possono usarla per eseguire l’elettrosintesi, sintetizzando molecole a base di carbonio a partire dall’anidride carbonica”.

È lo stesso principio della fotosintesi, il processo con cui le piante assorbono la CO2 trasformandola nelle loro cellule, ha sottolineato ancora lo scienziato dell’Università di Cardiff. Solo che qui tutto avviene sottoterra dove i microorganismi utilizzano l’energia per ridurre l’anidride carbonica e produrre una molecola più complessa: l’acetato.

La sostanza, di fatto, funziona come una riserva chimica di energia. “Quando serve, si accende un altro circuito, noto come cella a combustibile microbica, che attiva un’altra serie di batteri per scomporla”, scrive Euronews. “Questi microbi rilasciano elettroni che scorrono nel circuito, fornendo elettricità su richiesta”.

Una rivoluzione per l’accumulo di energia?

Le attuali tecnologie di stoccaggio, spiegano i ricercatori, fanno i conti con numerosi problemi che vanno dalla disponibilità delle risorse ai costi fino all’impatto ambientale. La possibilità di stoccare nel suolo l’energia prodotta da fonti rinnovabili presenterebbe importanti vantaggi.

“Il suolo – osservano gli studiosi – ha un enorme valore come deposito di energia grazie al suo immenso volume e alla sua commisurata capacità di accumulo“. Il terreno inoltre non necessita di operazioni di trasporto o installazione, ed essendo presente quasi ovunque sul Pianeta si colloca “alla base di quasi tutte le infrastrutture e le fonti energetiche”.

Per le applicazioni occorrerà tempo

Il suolo, inoltre, presenta un’eccezionale varietà di microbi e alcuni di essi potrebbero rivelarsi particolarmente adatti allo scopo. Per questo motivo, l’ipotesi di accumulo dell’energia nel terreno “ha il potenziale per sostenere i dispositivi alimentati e la fornitura di energia in tutto il mondo”. La teoria, insomma, sembra reggere. Ma per le applicazioni pratiche su larga scala ci vorrà comunque del tempo.

Le celle a combustibile microbiche, nota infatti Euronews, forniscono solo tensioni basse. Per questo il loro campo di utilizzo sembrerebbe per ora limitato ad alcuni meccanismi a consumo ridotto (dai sensori ad alcuni sistemi di illuminazione).

Infine l’impatto ambientale: lo stoccaggio nel terreno permette di evitare l’impiego di sostanze chimiche pericolose presenti nelle comuni batterie. Non è escluso ad esempio che l’acetato possa comunque dare problemi. Il composto, infatti, non è di per sé dannoso ma l’impatto effettivo di un suo utilizzo massiccio sulle forme di vita nel suolo è ancora da verificare.