Due ricerche olandesi: montando gli spettrometri leggeri sui droni è possibile mappare il terreno esplorando aree altrimenti inaccessibili. L’applicazione può fornire dati cruciali per la tutela e la bonifica dei suoli
di Matteo Cavallito
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I droni in grado di trasportare opportuni sensori si possono rivelare eccellenti strumenti di misurazione delle proprietà del suolo. Lo evidenziano due ricerche realizzate da un gruppo di studiosi olandesi. Le indagini si concentrano sulle applicazioni tecnologiche associate agli spettrometri a raggi gamma, strumenti che l’evoluzione tecnologica ha reso sempre più leggeri ampliandone l’impiego.
Gli ultimi modelli, notano in particolare alcuni dei ricercatori coinvolti – Ronald Koomans, dell’Università di Utrecht, Han Limburg e Steven van der Veeke, provenienti entrambi di Groningen – pesano appena tre chili e possono essere montati sui droni stessi.
Droni e spettrometri, combinazione vincente
Uno spettrometro a raggi gamma misura la concentrazione di elementi radioattivi. Le radiazioni emesse da questi ultimi, spiegano gli studiosi, forniscono informazioni sulla composizione mineralogica delle rocce e dei suoli. Utilizzando uno di questi strumenti montato su un semplice drone hanno dimostrato “come sia possibile mappare la tessitura del suolo con questo tipo di configurazione”. Evidenziando inoltre come questo sistema “possa essere impiegato per mappare i contaminanti con una risoluzione spaziale senza precedenti”.
I risultati “dimostrano che i sensori a raggi gamma sono pronti per essere applicati di routine nei progetti di mappatura condotti da droni”. Aprendo così “la possibilità di eseguire indagini ad alta risoluzione della struttura e della contaminazione del suolo in aree altrimenti inaccessibili”.
L’osservazione dall’alto precisa come l’esame a terra
La concentrazione degli elementi radioattivi nell’ambiente è correlata ad alcune proprietà del suolo. Misurando attentamente la presenza di specifici radionuclidi, sia naturali che prodotti dall’uomo, e utilizzando particolari modelli applicativi è quindi possibile trarre conclusioni sulle caratteristiche del terreno.
Per valutare la qualità delle mappe risultanti e prevedere le proprietà fisiche del suolo, gli autori hanno esaminato 40 ettari di terre agricole nel Flevoland, nei Paesi Bassi. Una prima misurazione è stata effettuata con il metodo tradizionale, ovvero applicando lo spettrometro su un trattore per un’analisi ravvicinata. La seconda è stata realizzata con i droni. Risultato: “La qualità della mappa trasportata dal drone risulta pari a quella dell’indagine a terra”. Gli approcci, in altre parole, si sono rivelati “altrettanto validi del campionamento del suolo”.
La mappatura del suolo contaminato
Un secondo esperimento condotto dai ricercatori olandesi si è concentrato sulla rilevazione dell’inquinamento. “L’approccio attuale alla gestione e al monitoraggio dei siti contaminati prevede metodi invasivi e spesso ad alta intensità di lavoro come la raccolta dei campioni”, spiegano gli studiosi sottolineando come tale metodo favorisca l’insorgere di potenziali errori.
L’utilizzo dei droni muniti di spettrometro ha permesso in questo caso di analizzare un tratto di pianura alluvionale nei pressi del torrente Spittelwasser, uno degli affluenti del fiume Elba, in Germania. Grazie all’indagine è stato possibile realizzare diverse rilevazioni dei livelli di inquinamento. “Questi dati forniscono informazioni dettagliate sulla contaminazione nel bacino fluviale che sono fondamentali per definire misure di bonifica adeguate”.
I terreni globali sono sempre più inquinati
Lo sviluppo tecnologico per il controllo e il contrasto della contaminazione rappresenta uno degli obiettivi fissati dalla FAO nell’ambito dell’International Network on Soil Pollution, un’iniziativa lanciata ad aprile in occasione della Giornata Mondiale della Terra. Lo scorso anno, un rapporto della stessa organizzazione ha evidenziato come l’impatto delle attività umane più nocive sia cresciuto nel XXI secolo. Nel 2018, in particolare, i terreni del Pianeta hanno assorbito 109 milioni di tonnellate di fertilizzanti azotati sintetici. Tra il 2000 e il 2017, inoltre, l’impiego dei pesticidi su scala globale è aumentato del 75%.
Ad oggi, nel Pianeta, si utilizzano 80mila sostanze chimiche diverse, aveva spiegato nell’occasione Ravi Naidu, professore dell’Università di Newcastle, ma solo lo 0,25% di esse è stato adeguatamente testato per valutarne la sicurezza. I siti potenzialmente contaminati su scala globale, aveva aggiunto, sono 10 milioni: un quarto del totale si trova in Europa, il 30% in Cina e in India. La carenza di risorse rende pressoché inesistenti le iniziative di bonifica nei Paesi poveri.