24 Settembre 2021

Andrea Magarini racconta il caso della Food Policy di Milano: in 5 anni emissioni ridotte del 20%, puntando su materie prime vegetali, biologiche e locali. I 17 milioni di pasti cucinati per le mense scolastiche ogni anno sono un potente fattore di cambiamento ambientale e di educazione alimentare

di Emanuele Isonio

 

Ascolta “"Così i giusti menu a casa e a scuola aiutano il clima (oltre che la salute)"” su Spreaker.

Nel campo delle azioni necessarie per constrastare la crisi climatica, le best practice esistono. E spesso ce le troviamo in casa anche in Italia. Quelle relative al comparto della produzione di cibo, sono tre volte fondamentali: per l’incidenza che attualmente questo settore ha sul totale delle emissioni (nella Ue, il settore alimentare, dal produttore al consumatore, è responsabile del 31% delle emissioni continentali di gas serra), per l’impatto che l’agrifood ha sulla salubrità dei terreni e per l’intimo legame con la vita di milioni di cittadini, che lavorano la terra o che si alimentano con i prodotti da essa derivante.

Tra le iniziative più interessanti per ridurre l’impatto del comparto agroalimentare, c’è la Food policy portata avanti dal Comune di Milano fin dal 2015. L’unico esempio in cui l’approccio alla riduzione dell’impronta ecologica e sociale del cibo sia stato affrontato in modo sistemico intervenendo, con una regia unica, sulla lunghezza delle filiere, sullo spreco alimentare e sui piatti che arrivano nelle mense scolastiche.

Per raccontarci come è stato costruito questo sistema e che risultati ha fin qui prodotto abbiamo intervistato Andrea Magarini, coordinatore dell’ufficio per l’attuazione della Food Policy Milano, che sarà tra gli ospiti della web conference che Re Soil Foundation organizzerà il 1° ottobre, sul rapporto tra lo sviluppo della bioeconomia e la rigenerazione del suolo.

Andrea Magarini è capo dell'ufficio Food Policy del Comune di Milano. FOTO: Archivio comune di Milano.

Andrea Magarini è coordinatore dell’ufficio Food Policy del Comune di Milano. FOTO: Archivio Comune di Milano.

Dottor Magarini, una cosa prima di tutto: può spiegarci qual è il rapporto tra crisi climatica e sistema alimentare?

Il rapporto è molto stretto. Attraverso il cibo si vanno a toccare degli ambiti molto importanti nell’emissione di gas serra. Pensiamo a tutto il sistema della produzione: le tipologie con cui produciamo cibo creano impatti notevoli. E poi il mondo del trasporto: come spostiamo il cibo che coltiviamo conta. Abbiamo mezzi diesel o elettrici?

Anche il mondo della trasformazione è molto impattante. Infine c’è il mondo del consumo: le scelte del consumatore su una dieta di origine animale o vegetale attivano o disattivano alcune filiere. Per non parlare dello spreco alimentare, un paradosso sia sociale (perché c’è un tema di disuguaglianze) sia ambientale (buttiamo via qualcosa che ha creato emissioni lungo tutta la filiera).

Questi problemi hanno un impatto anche sulla salute del suolo?

Impattano molto. Questo è senz’altro uno degli ambiti più innovativi che la ricerca ha messo nel mirino. Dobbiamo ancora capire bene come organizzare le politiche pubbliche per intervenire positivamente su questo problema. Sappiamo che il suolo assorbe CO2 e che il tipo di coltivazione è determinante per assorbire o, o al contrario, emettere gas serra. Allo stesso modo incide il tipo e la profondità di aratura. E contano molto ovviamente anche le sostanze che mettiamo nel suolo: il tipo di ammendanti che utilizziamo generano una maggiore fertilità del suolo o al contrario un suo impoverimento.

La condizione dei suoli italiani non è certo idilliaca. Il tema del miglioramento della loro qualità quindi deve per forza rientrare tra quelli da considerare quando si sviluppano le politiche pubbliche in ambito alimentare.

Lungo quali direttrici dobbiamo quindi operare per affrontare il problema?

La direttrice principale è la transizione verso il biologico. E’ un’indicazione che anche la Commissione europea sta dando a tutti i Paesi membri. Ad esempio la strategia Farm to Fork, che sarà sostanzialmente la prossima Food policy europea, spinge una maggiore conversione all’agricoltura biologica.

Veniamo a Milano: la città che cosa ha fatto sul fronte del food system?

Nel corso degli anni abbiamo costruito e consolidato il Parco Agricolo Sud Milano. Al suo interno, si contano 37mila ettari agricoli, oltre alle aree destinate a boschi, zone naturali e parchi. Su questi 37mila ettari operano circa un migliaio di aziende agricole. Il Comune di Milano, insieme alla Regione Lombardia e alla Città metropolitana ha attivato 5 distretti agricoli: sono delle forme organizzative tra circa 200 aziende. Sono il primo gruppo di attori con cui, dal 2015, abbiamo costruito un accordo quadro di sviluppo territoriale che è uno spazio di confronto permamente. Avere un confronto con il mondo agricolo è infatti un’attività essenziale. Abbiamo poi definito un piano di azioni che tocca moltissimi ambiti per consolidare la relazione tra la città di Milano e la sua campagna.

Concretamente, queste aziende coltivano 12mila ettari nel territorio metropolitano. Attraverso la leva dell’acquisto pubblico possiamo far tanto. Pensiamo che il Comune di Milano produce 17 milioni di pasti e compriamo 8-9mila tonnellate di cibo per le nostre mense scolastiche. Dalla fine del 2020 attraverso i criteri ambienali minimi possiamo inserire nei capitolati un acquisto di cibo biologico entro i 150 chilometri.

Riduzione emissioni gas serra mense scolastiche Milano

I risultati in termini di riduzione delle emissioni dannose per il clima ottenuto dal sistema delle mense scolastiche di Milano. FONTE: Ufficio Food Policy.

Ci stiamo interrogando su quanta superficie sarebbe necessaria per poter fare questi acquisti locali. Ricordo che tutto il sistema degli acquisti pubblici di Milano metropolitana ha una domanda di 88 milioni di pasti all’anno che richiederebbero 20mila tonnellate di ortofrutta. Per produrle, servirebbero 600 ettari di superficie. Nel nostro territorio metropolitano abbiamo 470 ettari disponibili: su questi terreni possiamo costruire nuovi spazi di mercato tra gli agricoltori di prossimità e gli attori pubblici. Con la clausola sul biologico, possiamo contribuire a convertire questa enorme superficie. L’interazione con i produttori può essere una grandissima leva di cambiamento: un conto è la transizione ambientale. Ma se non ci uniamo anche la dimensione economica facciamo fatica ad andare lontano.

Avete già fatto dei calcoli su quanto si riesce a risparmiare in termini di emissioni e di altri vantaggi ambientali e climatici con questo modo di agire?

Sul suolo non ancora perché è un ambito che si sta mettendo nel mirino solo ora. Lo abbiamo fatto invece su tutto il sistema degli acquisti pubblici. Attraverso le mense scolastiche abbiamo guidato, dall’avvio della food policy, una grande conversione dei menu e delle diete verso prodotti di origine vegetale. Penso all’esperimento del ragu di soia che è stato molto apprezzato dai bambini. Anno dopo anno, introducendo nuovi piatti e nuovi menu, abbiamo ridotto alcuni acquisti per incrementarne altri. Un’analisi del World Resources Institute basata su criteri di monitoraggio internazionali, ha evidenziato una riduzione della CO2 equivalente del 20% in 5 anni. Vuol dire che siamo riusciti a ridurre di circa 14mila tonnellate la CO2.

Per quanto riguarda la riduzione dello spreco alimentare, monitoraggi analoghi hanno evidenziato che siamo riusciti a ridurre in 5 anni l’emissione di circa 900 tonnellate di CO2 all’anno.

I risultati in termini di riduzione delle emissioni climalteranti ottenute attraverso le azioni nelle mense scolastiche gestite dal Comune di Milano. FONTE: Ufficio Food Policy Comune di Milano.

I risultati in termini di riduzione delle emissioni climalteranti ottenute attraverso le azioni nelle mense scolastiche gestite dal Comune di Milano. FONTE: Ufficio Food Policy Comune di Milano.

Parlando di ristorazione collettiva e di mense scolastiche, credo che esista un profilo educativo da non sottovalutare. Le cose che imparano mangiando a scuola i bambini le portano nelle loro case e diventano una sorta di “ambasciatori della consapevolezza alimentare”.

Assolutamente sì. Agire sullo spreco alimentare permette di parlare con i bambini su quanto è importante prevenirlo. In questi anni abbiamo distribuito circa 50mila sacchetti “salvamerenda” per portarsi a casa il pane e la frutta non consumata. Con il programma “frutta a metà mattina”, che ha coinvolto la metà delle scuole primarie, abbiamo anticipato alla merenda in classe il consumo dalla fine del pasto.

In questo modo abbiamo ottenuto diversi risultati positivi: il frutto, da essere l’ultimo elemento da consumare nel tavolo delle mense, è diventato centrale come strumento educativo. Gli insegnanti parlano della frutta di stagione e così cambia l’abitudine di consumo dei bambini. In più, anticipando la frutta a merenda, si riduce il consumo di snack ipercalorici con più grassi. All’ora di pranzo, i bambini hanno così più appetito. Nelle mense dove abbiamo attivato questo programma abbiamo notato una riduzione dello spreco del 17%. Ecco perché nel prossimo contratto di servizio vogliamo estenderlo a tutte le scuole.

Quali progetti avete in cantiere per il futuro?

Abbiamo vinto un paio di progetti Horizon molto interessanti. Uno – School for Change – ci servirà per migliorare il gradimento dei pasti con un minore impatto ambientale. Faremo un’analisi dei piatti molto apprezzati sotto il profilo ambientale – come il tortino dei legumi – ma che non sono molto apprezzati dai bambini. Vogliamo capire come possiamo andare a migliorare il grandimento di questi piatti.

Un altro progetto, di cui Milano è capofila, si chiama Food Trails. Con altre 11 città europee andremo a sviluppare una serie di azioni pilota, curando anche la loro sostenibilità economica. Vogliamo sviluppare una serie di strumenti di finanza d’impatto: tanto più riusciamo a monitorare l’impatto ambientale e non solo, tanto più riusciamo a utilizzare questo tipo di strumenti finanziari per garantire i flussi di cassa e una sostenibilità economica di queste azioni.

I settori coinvolti nel progetto Food Trails, finanziato dal Programma europeo Horizon. FONTE: Food Trails.

I settori coinvolti nel progetto Food Trails, finanziato dal Programma europeo Horizon. FONTE: Food Trails.

A proposito di sostenibilità economica, immagino che per fare questa transizione serva grande disponibilità degli operatori del sistema food. Come si incentivano e motivano?

In diversi modi: da un lato c’è bisogno di capire quale sia il migliore incentivo. Non sempre la leva fiscale è quella più efficace. Lo abbiamo visto con lo spreco alimentare: una delle prime azioni avviate è stata la riduzione della Tari per le aziende che donavano le eccedenze. Questa riduzione fiscale non ha avuto un grande impatto rispetto a costruire delle piccole infrastrutture di quartiere che potessero raccogliere queste eccedenze. Abbiamo coinvolto enti del Terzo settore (Banco alimentare, Terres des hommes) e sviluppato delle filiere di raccolta dai supermercati e mense aziendali di ogni quartiere. Abbiamo tutte le insegne di Milano: Coop, Lidl, Carrefour, Esselunga etc. Riuscire a facilitare la raccolta di queste eccedenze è stato un grandissimo incentivo.

Abbiamo poi strumenti di tipo comunicativo: è un interesse collettivo dimostrare quanto si sta lavorando con una regia comune. Questo abbiamo constatato che è una leva molto potente. Non è solo CSR ma è lavorare tutti insieme per migliorare il sistema alimentare della nostra città.

Ci sono poi tantissimi altri investimenti da orientare per la transizione. Nel mondo agricolo, la PAC è una grandissima leva economica. Allo stesso modo, il PSR – Programma di Sviluppo Rurale, gestito dalle Regioni, attivando una serie di operazioni per le aziende agricole, può incentivare la costruzione di filari alberati, il miglioramento dei fontanili e anche la transizione verso l’agricoltura biologica. Se riusciamo a costruire un sistema in cui questi incentivi – fiscali, destinati agli investimenti e alle infrastrutture – si legano tutti insieme, possiamo progettare e realizzare tutti insieme la transizione ambientale.