Troppo timida nel contrasto al cambiamento climatico, l’Australia punta sulla cattura di carbonio nei suoi terreni. Ma senza una svolta il comparto agricolo non potrà compensare i danni del settore fossile
di Matteo Cavallito
L’Australia sembra riporre una fiducia eccessiva sul sequestro di carbonio da parte dei suoi terreni agricoli nel percorso verso la neutralità climatica. Lo ha sostenuto nelle scorse settimane l’emittente pubblica nazionale ABC. Il governo di Camberra ha assunto formalmente l’impegno per il raggiungimento del net zero – il pareggio di bilancio tra il carbonio sottratto all’atmosfera e quello rilasciato – nel 2050. Ma il Paese, pur protagonista di alcune sperimentazioni interessanti nel comparto dell’economia circolare, mantiene tuttora un basso profilo in campo climatico. A pesare, in particolar modo, è la forte dipendenza dal settore fossile che incide sui livelli di emissione, tuttora tra i più alti del mondo in termini pro capite. E che vanifica l’opera di mitigazione esercitata dal suolo.
Il settore agricolo non può bilanciare l’impatto del fossile
La forte dipendenza del piano di riduzione delle emissioni dalla capacità di sequestro del terreno “è un presupposto rischioso”, ha dichiarato alla ABC Richard Eckard, agronomo dell’Università di Melbourne. L’idea che il carbon storage possa compensare l’impatto del comparto fossile, ha aggiunto, “è piuttosto fantasiosa”. Senza contare la forte variabilità metereologica che caratterizza da sempre l’Australia e che condiziona la capacità stessa di cattura dell’elemento da parte del terreno.
“In definitiva, in un paese che ha una variabilità del meteo superiore del 22% rispetto a qualsiasi altra nazione del mondo, la cattura del carbonio nel suolo dipende per il 90% dalle precipitazioni“, ha dichiarato Eckard. Non si può fare affidamento per il futuro su qualcosa che si lega a un fenomeno minacciato dallo stesso cambiamento climatico. Di fronte al clima che cambia, ritengo che saremo fortunati se riusciremo a mantenere nel suolo il carbonio attualmente stoccato”.
#COP26 a just transition is essential. To do this we need to acknowledge the historic greenhouse gas legacy@carbonbrief summarised the past emissions as an individual count – seems Canada 🇨🇦, USA 🇺🇸, Australia 🇦🇺, Russia 🇷🇺 and UK 🇬🇧 are top 5 & need to step up to ensure we get pic.twitter.com/zBArwUtpgZ
— Professor Mark Maslin 💙 (@ProfMarkMaslin) November 9, 2021
A Glasgow l’Australia non rinuncia al carbone
Le critiche avanzate a fine ottobre tornano prepotentemente di attualità dopo le recentissime prese di posizione del governo australiano alla COP 26 di Glasgow. Camberra si è allineata a Cina, India e Stati Uniti nel rifiutare qualsiasi assunzione di impegno nei confronti della messa al bando del carbone. E ha intrapreso la stessa strada di Mosca e Pechino scegliendo di non sottoscrivere il patto per la limitazione delle emissioni di metano. La delegazione, infine, è stata accusata di aver cercato di sabotare la bozza iniziale del documento conclusivo del vertice a favore di una versione meno ambiziosa.
“Anche se l’Australia si è impegnata ad azzerare le emissioni nette entro il 2050, il governo ha rifiutato di alzare il suo obiettivo di riduzione del 2030 dal 26 al 28 per cento a causa della forte opposizione dei deputati della coalizione”, scrive il Sidney Morning Herald. “Il primo ministro Scott Morrison ha previsto un taglio del 35% delle emissioni entro il 2030 in un documento formale depositato a Glasgow”. Tale previsione, afferma il quotidiano, “non ha tuttavia la stessa forza di un obiettivo vincolante”.
La soluzione? Una tecnologia per il sequestro di carbonio
L’ipotesi generale è che, allo stato attuale, il saldo tra il carbonio sequestrato nei campi e le emissioni agricole non sia poi così vantaggioso. “Circa la metà delle nostre emissioni di gas serra non è associata alla produzione di energia”, ha spiegato infatti alla ABC Mike Young, docente di politiche ambientali all’Università di Adelaide. “Mi riferisco a cose come l’aria condizionata, l’agricoltura, i fertilizzanti e altre fonti emissive”. In passato, ha aggiunto, “pensavamo di poter sovvenzionare gli agricoltori per aumentare il sequestro di carbonio ma le stime ci dicono che costerebbe troppo“. In definitiva, conclude, “il raggiungimento e il mantenimento dello zero netto comporta qualcosa di diverso”.
Per risolvere il problema, Young ha proposto di sviluppare la diffusione delle tecnologie di Carbon capture and sequestration/storage (CCS). Si tratta in sintesi, di strumenti in grado di recuperare la CO2 che si forma nei processi di generazione dell’energia negli impianti. Secondo il Global CCS Institute nel mondo sono attualmente operativi o in costruzione 51 impianti dotati di questo genere di strumentazione per una cattura complessiva di 40 milioni di tonnellate di CO2 ogni anno (per intenderci parliamo di meno dell’1% delle emissioni totali annuali degli Stati Uniti, stimate in 5 miliardi di tonnellate).
Il Net Zero è un’opportunità per l’economia
Con la diffusione di questa tecnologia, afferma Young, l’Australia potrebbe ridurre le emissioni sostenendo un costo di cattura pari a 100 dollari per tonnellata. Vale a dire la metà della spesa unitaria registrata oggi negli impianti di tutto il mondo. Ma questa non sarebbe l’unica buona notizia. Una recente indagine di Future Fuels CRC, un centro di ricerca di base a Wollongong, nel New South Wales, ritiene infatti che il perseguimento del net zero non impatterebbe negativamente sull’economia delle aree rurali del Paese. Tutte le regioni, al contrario, sperimenterebbero una crescita dei posti di lavoro. A causa del cambiamento climatico, sostiene invece il Dipartimento dell’Agricoltura di Camberra, ogni operatore australiano perde in media oltre 29mila dollari di profitti annuali.