L’ipotesi dei ricercatori cinesi: la siccità del suolo legata al cambiamento climatico non potrà più essere compensata dai cicli metereologici. Un problema per le colture e per l’economia della regione
di Matteo Cavallito
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La siccità agricola che ha colpito l’Asia centrale due anni fa non rappresenta un evento indipendente bensì il sintomo di una tendenza di lungo periodo che potrebbe trovare ulteriore conferma in futuro. Lo sostiene uno studio dell’Istituto di Fisica Atmosferica (IAP) dell’Accademia delle Scienze Cinese che ha analizzato l’andamento del trend ipotizzandone le evoluzioni nei prossimi anni.
“La siccità agricola, che segue solitamente quella metereologica, si riferisce al deficit di umidità del suolo, strettamente legato ai cambiamenti dei fattori atmosferici”, ha dichiarato Jiang Jie, principale autore della ricerca, in una nota diffusa dalla stessa Accademia. Secondo gli scienziati, un ruolo determinante spetta alle cosiddette forze esterne antropogeniche, ovvero a quell’insieme di azioni condotte dall’uomo che, unitamente alla naturale variabilità del sistema climatico, hanno portato all’aggravamento del fenomeno a partire dagli anni ’90 del secolo scorso.
Determinante il fattore umano
Pubblicato su Nature Geoscience, lo studio si è basato su diverse sperimentazioni tra cui le osservazioni e le simulazioni di grandi dimensioni fornite dal National Center for Atmospheric Research degli Stati Uniti, dal Max Planck Institute di Monaco di Baviera, in Germania, e dalla Commonwealth Scientific and Industrial Research Organization australiana.
“La pressione esterna antropogenica comprende, tra le altre cose, i cambiamenti nelle emissioni di gas serra e nell’uso del suolo“, ha spiegato ancora Jiang.
Le emissioni, in particolare, hanno provocato un rapido riscaldamento in tutta l’Asia centrale, determinando un aumento dell’evaporazione e una conseguente riduzione dell’umidità del terreno. Oltre a favorire notoriamente la desertificazione. A questo si aggiungono gli effetti di un fenomeno naturale noto come IPO – Interdecadal Pacific oscillation, l’oscillazione interdecennale del Pacifico che impatta sulla temperatura delle acque settentrionali e meridionali dell’oceano seguendo cicli di 20 o 30 anni.
I cicli metereologici non compensano più il cambiamento climatico
Nelle cosiddette fasi positive dell’IPO la temperatura di superficie del Pacifico tropicale risulta superiore alla media, quella della parte settentrionale si mantiene più fredda. Nelle fasi negative la tendenza si inverte: i mari del nord si scaldano mentre quelli del sud sperimentano un calo delle temperature.
A partire dagli anni ’90, il raffreddamento della superficie marina nel Pacifico tropicale centro-orientale ha portato a una riduzione delle precipitazioni primaverili nell’Asia centrale meridionale determinando un calo dell’umidità del suolo all’inizio della stagione vegetativa.
Il problema, notano ora gli scienziati, è che di fronte al riscaldamento globale provocato dall’uomo, le future inversioni di rotta dell’IPO potrebbero non essere sufficienti a compensare il peggioramento della siccità nel corso di questo secolo. Anche un rialzo delle temperature marine nella fascia tropicale dell’Oceano Pacifico, insomma, “non potrebbe controbilanciare la tendenza all’inaridimento indotta dalle attività umane nell’Asia centrale”, ha sottolineato Zhou Tianjun, docente e co-autore della ricerca.
Le conseguenze della siccità
La siccità agricola non rappresenta l’unico problema. Accanto ad essa, segnala infatti la ricerca, si collocano “crescenti rischi di siccità meteorologica e idrologica nell’Asia centrale e meridionale”. Da qui la necessità di “sviluppare un accurato piano di gestione del rischio a livello settoriale, locale, nazionale e persino internazionale per adattare e mitigare l’aumento della siccità agricola per la sicurezza alimentare e la produzione zootecnica”.
In Asia Centrale, agricoltura e allevamento sono i settori che contribuiscono maggiormente al Pil, spiegano ancora gli autori. Per questo “le sempre più gravi siccità agricole non solo influenzano direttamente le colture e il bestiame, ma sono anche una sfida per la produzione, la vita, gli ambienti ecologici, la stabilità sociale e persino la sicurezza regionale”. Una conseguenza inevitabile di un fenomeno che non può essere fermato, “a meno che non si intraprenda un’azione ambiziosa per il clima e si raggiunga al più presto il picco delle emissioni di gas serra per poi conseguire la neutralità climatica globale”.