I risultati di uno studio durato 40 anni del Rodale Institute di Kutztown (Pennsylvania): indagate rese agricole, compattazione del suolo e infiltrazione dell’acqua. In tutti i casi, il biologico mostra risultati migliori dell’agricoltura convenzionale
di Emanuele Isonio
Gli oltre 300 eventi meteo estremi verificatisi nel corso del 2022 uniti all’aumento delle temperature e della siccità hanno causato all’agricoltura italiana più di 6 miliardi di euro di danni, pari al 10% della produzione nazionale. I dati, resi pubblici da Coldiretti alla fine dello scorso anno, evidenziano l’importanza di adottare soluzioni agricole che si dimostrino più resilienti alla crisi climatica in atto.
Una risposta di estrema rilevanza arriva dal Rodale Institute di Kutztown, in Pennsylvania. Il progetto di ricerca Farming Systems Trial di cui sono stati presentati i risultati nelle settimane scorse è infatti unico nel suo genere tanto da rappresentare una pietra miliare: è infatti iniziato 40 anni fa. Precisamente nel 1982.
16 acri coltivati con tre tecniche diverse
Lo studio ha utilizzato appezzamenti di terreni vicini per un totale di 12 acri (circa 5 ettari) per un totale di 72 diverse parcelle sperimentali, coltivate a mais e soia. Sono stati quindi confrontati tre metodi diversi di coltivazione: uno convenzionale con fetilizzanti e fitofarmaci di sintesi, uno biologico che utilizza la rotazione delle leguminose per apportare i nutrienti necessari al terreno e, infine, un altro, sempre biologico, che, oltre a una diversa rotazione delle leguminose, utilizza letame da allevamento come concime.

Una veduta aerea dei lotti di ricerca Farming Systems Trial nel 2022: dei 16 acri una parte sono coltivati con metodo biologico e una parte con tecniche convenzionali. FOTO: Rodale Institute.
I risultati? Secondo il report dell’istituto statunitense, gli appezzamenti convenzionali – utilizzati e monitorati nella ricerca – coltivati con l’impiego dei semi OGM largamente utilizzati nell’agricoltura industriale e trattati con gli erbicidi registrano impoverimento del suolo e danni che ne inibiscono la vitalità a lungo termine. Al confronto anche temporale gli negli appezzamenti biologici il suolo risulta più produttivo di anno in anno, i costi sono più bassi e i rendimenti netti delle colture più alti.
+31% di rese in caso di meteo estremo
Non solo: le colture biologiche hanno mostrato delle rese uguali o superiori rispetto a quelle convenzionali. E in caso di situazioni climatiche estreme il divario è aumentato, in favore del biologico, fino a un +31%. Allo stesso tempo, si è misurata una minore compattazione del suolo, una crescita della biodiversità e della biomassa microbica.
Buone notizie anche sul fronte dell’acqua: le colture biologiche hanno aumentato l’infiltrazione dell’acqua, rallentando il deflusso nei principali corpi idrici e riempiendo la falda freatica. Inoltre, dal momento che il biologico non usa prodotti chimici di sintesi, non ha contribuito all’accumulo di tali sostanze nei corsi d’acqua che spesso incidono sulle riserve di acqua potabile.
“L’agricoltura biologica rigenerativa costruisce un suolo sano attraverso l’aumento del carbonio organico”, ha spiegato Reza Afshar, capo scienziato del Rodale Institute. “Ciò consente al terreno di assorbire più precipitazioni durante i periodi di inondazione e di trattenere l’umidità per un tempo più lungo durante i periodi di siccità”.
Quello del Rodale Institute non è certo il primo rapporto che sottolinea i vantaggi dell’agricoltura biologica rispetto a quella convenzionale in termini di impatti positivi sul suolo. A ottobre scorso, un documento dell’EEA (Agenzia europea dell’Ambiente) aveva analizzato il comportamento dei suoli nei diversi Paesi Ue in termini di emissioni. L’analisi aveva mostrato che i terreni continentali, a causa delle tecniche agricole utilizzate (lavorazioni profonde e uso dei fertilizzanti chimici), si sono trasformati in fonti di emissioni nette di anidride carbonica (circa 64 Mt di CO2 equivalente), pari alla metà del contributo di emissioni europee del comparto aereo mondiale.
Come è nato il Farming Systems Trial
Ciò che però rende unico l’indagine dell’istituto della Pennsylvania è l’arco temporale considerato. Quando ancora gli Stati Uniti non avevano approvato l’Organic Foods Production Act, la legge federale che regolava l’agricoltura biologica datata 1990, Bob Rodale, figlio del fondatore del Rodale Institute, aveva pensato a come poter studiare i potenziali vantaggi del biologico applicato alle colture simbolo degli USA (mais e soia, appunto). Voleva avere dati incontrovertibili da sottoporre al Congresso e al Dipartimento dell’Agricoltura.
Ha così costruito la base del Farming Systems Trial, un sistema di appezzamenti sperimentali progettato per confrontare direttamente i metodi di agricoltura biologica con quelli convenzionali, monitorando diversi aspetti: dalle rese, alla salute del suolo, fino al consumo di carburante, alla redditività delle coltivazioni fino alla ritenzione idrica.