Amati da 4 italiani su 10, gli orti urbani offrono significativi vantaggi. Ma una cattiva gestione può favorirne la contaminazione. Analisi del suolo e monitoraggio sono dunque essenziali
di Stefania Cocco*, Valeria Cardelli**, Dominique Serrani***, Giuseppe Corti****
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Gli orti urbani rappresentano una variegata realtà cittadina nella quale si coltivano frutta, verdura, fiori e piante aromatiche. Nel corso dei secoli, gli orti e giardini urbani non sono mai mancati nelle città europee a dimostrazione del mantenimento di un legame stretto dell’uomo con la terra, nonostante la spinta all’urbanizzazione. Per quanto sembrino parte di una tendenza contemporanea, gli orti urbani si diffusero in molte città europee nell’Ottocento per integrare il reddito di famiglie operaie migrate in città dalle campagne. Un successivo rilancio della pratica dell’agricoltura urbana caratterizzò il secondo dopoguerra in tutta Europa, quando i ceti meno abbienti affrontarono il forte disagio economico estendendo gli orti cittadini sorti durante il conflitto (orti di guerra). In seguito, queste attività di sussistenza diminuirono, mentre oggi stanno ritornando in auge.
Il 40% degli italiani si dedica all’agricoltura urbana
Secondo Coldiretti, la crisi economica generata dal Covid-19 ha spinto 4 italiani su 10 a dedicarsi all’agricoltura urbana per riscoprire la natura e l’aria aperta affittando e lavorando un orto urbano. Le superfici destinate a queste attività hanno registrato un incremento del 18,5% in 5 anni, superando i 2.1 milioni di metri quadri. Uno studio condotto da SustUrbanFoods dell’Università di Bologna nel 2018 ha evidenziato i vantaggi di questa attività in termini di sviluppo sociale ed economico, stimando che un piccolo orto di 10-20 metri quadrati possa produrre ortaggi per soddisfare il fabbisogno annuo di una persona. Questi spazi rappresentano quindi un’ottima opportunità anche economica, per un vivere più green senza traslocare in campagna.
Esistono tante tipologie di orto urbano: gli orti didattici delle scuole primarie, gli orti terapeutici dedicati alle persone in cura per ansia e depressione o con disagi sociali, gli orti sociali che sono coltivati al fine di migliorare la qualità della vita delle persone. L’obiettivo principale è la socializzazione, senza trascurare il desiderio di un modello di vita più sostenibile anche dal punto di vista economico.
Attenti al rischio contaminazione
Nella maggior parte dei casi queste aree vengono gestite da agricoltori dilettanti; si tratta di persone non esperte di orticoltura, frutticoltura, gestione del suolo e di presidi chimici e che non sono a conoscenza del rischio di esposizione a vari tipi di contaminazione che minacciano la qualità dei prodotti ortofrutticoli che producono.
Succede che, se da un lato questi appezzamenti di suolo urbano svolgono ruoli positivi tra i quali un incremento dello stock di carbonio e la riduzione di emissioni di gas serra, dall’altro possono incorporare inquinanti pericolosi di natura organica e/o inorganica che possono minacciare la catena alimentare. La pianificazione di una città sostenibile dovrebbe considerare quindi anche una mappatura dei suoli da destinare a orti e giardini, e prevedere specifiche analisi fisiche, chimiche e biologiche per favorire il loro migliore utilizzo e la protezione dal degrado.
Il particolato è la principale minaccia
Nelle zone urbane, la salute dei suoli è minacciata soprattutto da opere di movimentazione e rimaneggiamento, inquinamento e scarsa copertura vegetale. Il particolato prodotto dal traffico automobilistico e dai sistemi di riscaldamento è ricco di metalli pesanti che inevitabilmente vengono incorporati dal suolo urbano. Per questo motivo, è fondamentale discernere i limiti e le relative concentrazioni accettabili di metalli pesanti nei suoli destinati a orto in ambiente urbano, come peraltro avviene per altri contaminanti presenti nel cibo e nelle acque. Per prevenire gli effetti di questi inquinanti sulla matrice suolo, sarebbero opportune specifiche analisi per identificare la loro bio-disponibilità e la mobilità lungo il profilo.
È stato evidenziato come le particelle più sottili di suolo (con diametro inferiore ai 10 μm, dette PM10), sulle quali si accumulano vari inquinanti, possono involare facilmente in seguito alle correnti provocate dal traffico e dal vento, incrementando il particolato atmosferico. Tale particolato, una volta inalato, si deposita nel primo tratto delle vie respiratorie, mentre le particelle più sottili (quelle con diametro inferiore ai 2,5 μm, dette PM2,5), assimilabili all’argilla, possono raggiungere gli alveoli e provocare affezioni polmonari e vascolari. Pertanto, l’analisi della tessitura del suolo è uno strumento importante per la valutazione della sua suscettibilità a produrre particolato atmosferico, soprattutto in città.
Il carico di particolato può essere accentuato da una cattiva gestione del suolo che potrebbe favorire l’involamento delle particelle più fini. Per mitigare tali problematiche, potrebbe essere utile adottare accorgimenti quali l’inerbimento e la protezione delle aree urbane coltivate con barriere verdi frangivento dalla composizione floristica studiata per favorire gli insetti pronubi.
Gli autori
* Stefania Cocco è professore associato di Pedologia, PhD in Geobotanica e Geomorfologia. Interessi di ricerca: genesi di suoli agrari, forestali, urbani e subacquei; suolo e cambio climatico; rizosfera; soluzioni ecologiche; mineralogia del suolo; erosione idrica; suoli di ambienti aridi; suoli alpini e artici; paleosuoli; Oxisols.
** Valeria Cardelli, PhD in pedologia. Collabora con università spagnole e americane per lo studio di suoli forestali e naturali, e sul reimpiego di materiali di scarto in agricoltura. Titolare di assegno di ricerca su riuso sostenibile di scarti di estrazione di idrocarburi.
*** Dominique Serrani è dottoranda in Pedologia. Studia gli effetti dello slash and burn sulla fertilità di suoli di sistema agroforestale in Mozambico. Titolare di assegno di ricerca sulla misura dell’erosione e sul monitoraggio della fertilità del suolo in ambienti collinari dell’Italia centrale.
**** Giuseppe Corti è docente all’università Politecnica delle Marche e presidente della Società Italiana di Pedologia.