27 Settembre 2021

Le regole Ue sui rifiuti organici stanno aumentando la quantità di biomasse destinate al compostaggio. Per sfruttare al meglio la loro capacità fertilizzante non possiamo sottovalutare il loro livello di stabilità biologica

di Marco Grigatti*, Luciano Cavani**, Claudio Ciavatta***, Claudio Marzadori****

 

L’impatto dei cambiamenti climatici sulla vita di tutti i giorni è tangibile ed è materia di attenzione crescente da parte delle istituzioni. Una riduzione delle emissioni di biossido di carbonio (CO2) e di e di altri gas climalteranti (N2O, CH4), alla base di questi mutamenti, è fondamentale per contenere l’incremento di fenomeni altrimenti sempre più severi.

In questo ambito l’Unione Europea (UE) sta adottando azioni concrete per promuovere la conservazione e l’incremento del carbonio organico del suolo prevedendo anche la retribuzione agli agricoltori per la conduzione di questa pratica considerata di pubblica utilità (Carbon Farming). Una vera svolta perché il ruolo dell’agricoltura nella conservazione del carbonio dei suoli e nel conseguente contenimento delle emissioni di gas climalteranti non era mai stato quantificato dal punto di vista economico. Queste azioni sono quindi complementari alla razionale gestione dei rifiuti organici che devono essere indirizzati il più possibile al recupero e non inviati al conferimento in discarica o all’incenerimento.

Da che cosa dipende la capacità fertilizzante delle biomasse?

In seguito all’applicazione delle politiche europee in materia di gestione dei rifiuti, in questi ultimi anni in Italia, come in quasi tutti i paesi della UE, si è assistito a un notevole incremento del loro recupero tramite compostaggio, accoppiato o meno alla digestione anaerobica, con conseguente produzione di notevoli quantità di biomasse che possono essere favorevolmente impiegate nei suoli agricoli per i loro effetti benefici sulla nutrizione delle piante, sulla fertilità biologica e sulla conservazione/incremento del carbonio organico.

Tuttavia, l’effettiva capacità fertilizzante in termini di azoto e di conservazione/incremento del carbonio organico conseguente all’applicazione al suolo di questo tipo di biomasse è ancora poco conosciuta in quanto dipende dal loro livello di stabilità biologica. Prodotti instabili in genere rendono di difficile gestione la fertilizzazione. Ciò per via del rilascio non facilmente prevedibile di azoto e per le notevoli emissioni di CO2 (e spesso N2O e NH3), quando utilizzati in campo.

La stabilità biologica degli ammendanti (e digestati anaerobici) è oggi oggetto di normazione nel nuovo regolamento europeo relativo ai fertilizzanti (Regolamento UE 2019/1009), il quale indica parametri che verranno con ogni probabilità adottati nella applicazione dell’End of Waste (Waste Framework Directive; Directive 2008/98/EC), procedura necessaria affinché un “rifiuto” possa rientrare nel circolo dei materiali ri-utilizzabili. Il trasferimento dalla sfera normativa a quella applicativa richiede dunque strumenti affidabili in grado di quantificare anche le variazioni di carbonio del suolo in seguito all’applicazione di questo tipo di biomasse.

Come migliorare l’efficienza dell’uso di azoto nelle piante?

Tra le varie tecniche possibili per la valutazione della efficienza d’uso dell’azoto da parte delle piante, l’impiego dell’isotopo stabile dell’azoto (15N) è tra quelle più promettenti. I prodotti sottoposti a stabilizzazione biologica (aerobica; anaerobica o accoppiate), presentano spesso un arricchimento naturale in 15N che permette di seguirne il destino nella pianta consentendo valutazioni puntuali dell’efficienza d’uso dello stesso. Allo stesso modo i prodotti sottoposti a trattamento biologico presentano una omogeneizzazione del 13C contenuto, fenomeno che permette di seguire il destino del carbonio addizionato al suolo. Emerge dunque la concreta possibilità di impiegare lo studio degli isotopi stabili (15N; 13C) nella investigazione delle proprietà fertilizzanti e di conservazione del carbonio di prodotti organici di riciclo.

Ricerche condotte dal gruppo di Chimica Agraria del DISTAL mettono in luce che esiste una connessione diretta tra il livello di applicazione di prodotti stabili e l’incremento del carbonio del suolo. Al contrario, prodotti non perfettamente stabilizzati presentano un comportamento opposto. Applicazioni a dosi crescenti portano infatti a una minore conservazione di carbonio organico. Al contempo causano problemi di utilizzo dell’azoto da parte delle piante. Alla luce di questi risultati, è possibile ipotizzare che si possa agire concretamente sulla massimizzazione della efficienza fertilizzante di prodotti organici di riciclo, ottimizzando al tempo stesso la loro capacità di conservazione/incremento del carbonio nel suolo. La messa a punto di nuovi piani di fertilizzazione dovrà necessariamente considerare gli aspetti ambientali consentendo al tempo stesso di ottimizzare il reddito delle aziende agricole che attueranno il Carbon Farming.

Gli autori
* Marco Grigatti

PhD in Chimica Agraria, è Ricercatore TD senior del Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agro-Alimentari dell’Alma Mater Studiorum Università di Bologna. Opera da anni a livello nazionale e internazionale nel settore del riciclo dei rifiuti organici. Il suo scopo è massimizzarne le potenzialità di sostituzione rispetto ai fertilizzanti convenzionali, ponendo l’attenzione alla conservazione del carbonio nel suolo, in un’ottica di gestione sostenibile delle attività agricole. In questo ambito ha svolto numerose ricerche focalizzate alla valutazione della stabilità biologica delle biomasse. Studia inoltre le cinetiche di rilascio dei nutrienti con un focus particolare sul fosforo, risorsa critica di cui l’Europa è carente. Ha applicato queste tecniche in microcosmi, in prove in vaso ed in pieno campo collaborando con i principali attori del settore in ambito nazionale e internazionale. E’ autore/co-autore di numerosi articoli scientifici pubblicati su riviste internazionali e impegnato in attività di terza missione e didattica.

** Luciano Cavani

Professore associato presso l’ Alma Mater Studiorum Università di Bologna, svolge le sue ricerche nell’ambito della Chimica agraria. È titolare degli insegnamenti di “Indici di qualità del suolo” e di “Soil chemistry and carbon cycle”. I suoi interessi di ricerca sono rivolti in modo particolare alla fertilità dei terreni agrari, ai fertilizzanti e all’utilizzo dei sottoprodotti agro-industriali in agricoltura. Attualmente incentra la sua ricerca sullo studio delle relazioni tra la gestione agronomica (lavorazioni, rotazioni, consociazioni, concimazioni) e la funzionalità del suolo.

*** Claudio Ciavatta

Ordinario di Chimica Agraria presso il Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agro-Alimentari (DISTAL) dell’Alma Mater Studiorum all’università di Bologna. E’ stato presidente della Società italiana di Chimica Agraria. Studia in particolare gli aspetti chimico-strutturali e biochimici della sostanza organica di suoli, fertilizzanti, di biomasse di riciclo e di rifiuto, e della fertilità del suolo, con particolare riferimento ai cicli dell’azoto e del fosforo. Ha al suo attivo oltre 300 pubblicazioni.

**** Claudio Marzadori

Ordinario di Chimica Agraria presso il Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agro-Alimentari dell’ Alma Mater Studiorum Università di Bologna-DISTAL. La sua attività accademica è da sempre incentrata sullo studio dei processi chimici e biochimici che caratterizzano il sistema suolo-pianta. La sua attività didattica lo vede titolare di insegnamenti relativi alla Chimica del Suolo, la Biochimica agraria e la Chimica e Biochimica dell’interazione suolo pianta. Recentemente le sue attività di ricerca sono fortemente orientate alla definizione di strumenti di valutazione della funzionalità dei suoli in rapporto alle loro destinazioni d’uso. Si sta inoltre applicando alle ricerche relative allo sviluppo delle pratiche d’uso e riciclo di biosolidi nei suoli a scopo fertilizzante.