Le foreste britanniche possono contribuire significativamente alla mitigazione climatica. Un progetto punta a definire il potenziale dell’agroforestazione aprendo la strada a un nuovo mercato
di Matteo Cavallito
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Valutare il potenziale di sequestro del carbonio nelle foreste britanniche per sostenere meglio le strategie di mitigazione climatica coinvolgendo operatori, gestori e finanziatori. È l’obiettivo del progetto Woodland Carbon Code, promosso dalla Soil Association, ente ambientalista di base a Edinburgo, insieme ad altre organizzazioni come Woodland Trust, Finance Earth, Organic Research Centre e lo Scottish Rural College (SRUC).
Il programma, oggetto di un seminario dedicato nelle scorse settimane, intende “studiare il sequestro di carbonio ad opera dei sistemi agroforestali, la fattibilità e l’opportunità di generare solidi crediti di emissione”, ha spiegato Clive Thomas, Senior Policy Advisor della Soil Association. Questi ultimi “potrebbero essere utilizzati sia per la compensazione nell’ambito di una strategia net zero del proprietario terriero/fornitore, sia per la vendita a terzi”.
I benefici dell’agroforestazione
L’agroforestazione consiste nella realizzazione di un sistema agricolo che combina le attività tradizionali – come le colture e l’allevamento – con la piantumazione e la gestione degli alberi. Questa pratica, come ricorda un recente rapporto di Woodland Trust, un’organizzazione per la promozione del ripristino delle foreste britanniche, produce diversi benefici.
“Introdurre più alberi renderà i paesaggi agricoli più resilienti dal punto di vista economico e ambientale”, si legge nello studio. “Le piante consentono di combinare la produttività con il sostegno alla biodiversità, facendo crescere la presenza di carbonio nel suolo e aiutando a rispettare gli impegni assunti in materia di clima e natura”.
In media le terre coltivate nel Regno Unito rilasciano ogni anno quasi 2 tonnellate di CO2 per ettaro; quelle destinate all’allevamento quasi quattro. Per contro, rileva il rapporto, “In 30 anni, i sistemi silvo-pastorali possono sequestrare otto tonnellate di CO2 per ettaro all’anno“. Inoltre, “l’introduzione dell’agroforestazione sul 30% dei pascoli del Regno Unito farebbe scendere a zero le emissioni nette di questi ultimi entro il 2050 con un tasso di sequestro netto di 21 milioni di tonnellate di CO2 all’anno entro il 2062”.
Un anno di studi sulle foreste
Oltre alla ricerca per individuare ed esplorare le attuali opportunità di misurazione del carbonio, il progetto – che ha una durata di 12 mesi – punta a testare le attività di agroforestazione in una serie di siti pilota in Inghilterra. I ricercatori dovranno capire come definire i requisiti per le misurazioni della quantità di elemento sequestrato fino a produrre un Codice del carbonio agroforestale.
A quel punto si dovranno definire aspetti chiave tra cui il tipo di crediti che possono essere prodotti, i soggetti chiamati a monitorare e a certificare le operazioni, i ricavi potenziali e gli investitori interessati. In qualità di strategie di carbon farming, infatti, le attività di agroforestazione generano crediti di emissione che possono essere scambiati sul mercato attirando quindi l’interesse degli operatori privati.
Il ruolo dei privati
Quest’ultimo aspetto appare fondamentale. “I fondi pubblici non bastano a finanziare il ripristino del patrimonio naturale britannico” ha spiegato infatti Sarah Darrah, Natural capital advisor presso la società di consulenza londinese Finance Earth. “Per raggiungere gli obiettivi del 25 Year Evironment Plan del governo serviranno investimenti privati compresi tra i 44 e i 97 miliardi di sterline nei prossimi dieci anni”.
Per aprire la strada a un vero e proprio mercato, spiega ancora, occorrerà quindi rispondere a tre domande: “Che ruolo può avere la finanza privata nei progetti agroforestali del Regno Unito ipotizzando di poter vendere crediti di carbonio agroforestali? Esiste un mercato per questi ultimi? Quale prezzo di carbonio occorre fissare per rendere redditizio un progetto sulla base dei tassi di sequestro dell’elemento e dei costi di realizzazione?”. In questo modo sarà anche possibile quantificare il rischio delle operazioni definendo il prezzo ideale per attrarre gli investitori.
Uno scenario promettente
Non a caso, ha sottolineato Ilona Coulson-Ashworth, Carbon Projects Manager di Woodland Trust, le iniziative pilota puntano a “testare il codice per comprenderne l’efficacia, l’accessibilità per gli agricoltori e il potenziale di investimento per gli operatori”. Lo scenario del settore agroforestale britannico, in ogni caso, appare promettente.
Secondo una ricerca della società Cumulus Consulting, “si potrebbe realizzare oltre l’80% dell’obiettivo proposto dal Piano Ambientale (del governo, ndr) che prevede la creazione di 420.000 ettari di nuove foreste entro il 2050, senza che ciò comporti significativi disagi per la gestione delle aziende agricole”. In ogni caso, precisa lo studio, “per raggiungere questo traguardo sarà necessario un sostegno finanziario di circa 90 milioni di sterline all’anno fino al 2050”.