Il “progetto Fioraia” dell’associazione Impollinatori metropolitani: un esempio di buona cooperazione che fa vincere tutti. Le aree abbandonate vengono recuperate e cedute ai contadini locali, con l’impegno a destinare parte del terreno a piante mellifere e pollinifere. Il territorio si rigenera e si aiuta la sopravvivenza delle api
di Emanuele Isonio
Sotto gli occhi di un’Italia distratta, ci sono due fenomeni in crescita costante: da un lato, quello dei terreni, una volta destinati alle attività agricole, ma oggi incolti. Anno dopo anno, generazione dopo generazione, sono aumentati fino a raggiungere non meno di 3,5 milioni di ettari, rivelano i dati di Ismea (Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare). Terra buona, che potrebbe ovviamente essere usata con profitto per pascoli o coltivazioni. Dall’altro lato, decennio dopo decennio sono cresciuti le superficie boscate. Addirittura raddoppiate nell’ultimo secolo. Una tendenza parallela alla prima: dove l’uomo abbandona la cura quotidiana della terra, la Natura tende a riappropriarsene. Ma non necessariamente è un bene in termini globali.
La terra non nutre più gli impollinatori
Nascosto dietro i cespugli, i rovi e i boschi ricresciuti c’è infatti un terzo fenomeno. Forse il meno noto, se non a chi ogni giorno con amore si prende cura degli insetti impollinatori. A partire dalle preziosissime api, dalle quali dipende non meno di un 75% della produzione agricola mondiale e la riproduzione del 90% delle piante da fiore della Terra (dati FAO): i paesaggi italiani sono sempre meno capaci di nutrirli. “Una volta, fino a un decennio fa, grazie alle mie arnie riuscivo a fare due raccolte ogni stagione. Oggi non arrivo a una”. La testimonianza di Guido Cortese, presidente della Condotta di Torino, progetto legato ad Api Urbane di SlowFood Torino è particolarmente significativa. Perché il suo problema, per quanto poco conosciuto fuori del mondo apistico, non riguarda solo la sua zona d’attività, nella campagna piemontese.

Le api e insetti impollinatori in generale hanno un ruolo cruciale per la nostra sicurezza alimentare e per gli ecosistemi. Qui, 5 dei “servizi” garantiti dalla loro presenza. FONTE: Archivio FAO.
Non solo inquinamento e pesticidi
Perché? Non c’entra solo l’inquinamento (che peraltro ha una indubbia responsabilità, visto il legame tra l’uso di pesticidi chimici da parte dell’agroindustria e la diminuzione di insetti impollinatori). “Nelle aree marginali delle colline pedemontane – spiega Cortese a Re Soil Foundation – c’era un tempo una filiera completa, abitata da migliaia di persone, che producevano reddito curando il territorio. Oggi quei terreni sono incolti. Al posto delle colture ci sono rovi. Prima si notavano fiori e centinaia di specie botaniche oggi non più esistenti. Questo costringe non solo gli apicoltori professionali ma anche i semplici hobbisti a spostare periodicamente le proprie arnie. Un “neo-nomadismo apistico” per garantirne la sopravvivenza.
Per di più, a complicare la situazione c’è ovviamente il cambiamento climatico. A causa del caldo, le fioriture di molti fiori e piante avvengono sempre prima (ne sanno qualcosa in Giappone, con i loro amati ciliegi). La conseguenza è un disallineamento tra i tempi di fioritura e la nascita degli impollinatori. Che, quando nascono, hanno sempre meno da mangiare, tanto da essere esposti al concreto rischio di estinzione.
Alla ricerca di una “soluzione sistemica”
Il problema appare insormontabile ma non lo è. Proprio in Piemonte, l’associazione Impollinatori Metropolitani (di cui anche Cortese fa parte), ha sviluppato il “progetto Fioraia”. Un’idea che è venuta in mente a un’appassionata apicoltrice professionale, Ariele Muzzarelli: “da una parte stiamo cercando di intercettare proprietari di terreni incolti che non possono o non vogliono più occuparsene”.
Problema frequente quando si passa da una generazione all’altra. Con figli e nipoti che si trovano in eredità appezzamenti di terra di cui non sanno nulla. Spesso nemmeno l’ubicazione. “Dall’altra cerchiamo agricoltori, magari giovani, che coltivano aree vicine a quelle incolte oppure che vogliono intraprendere a basso costo il ritorno alla terra. A questi ultimi, d’accordo con i proprietari, chiediamo l’impegno a dedicare una parte della nuova superficie agricola ottenuta in comodato per seminare un mix di fiori e arbusti perenni capaci di attirare e tornare a sfamare le api”. E così, a vincere sono anche gli impollinatori e chi li allega. Nulla è lasciato al caso: le piante vengono infatti selezionate scientificamente grazie a una collaborazione con le università locali. E nei terreni coinvolti vengono effettuate attività di biomonitoraggio con le api, per verificare che le azioni producano effettivamente un cambiamento positivo nell’ambiente.
A guadagnarci quindi sono proprio tutti: “In questo percorso di maturazione – spiega Muzzarelli – si è optato per una soluzione sistemica. Non è possibile salvare il paesaggio senza salvare chi ci abita o ci lavora. Senza distinguo tra un insetto impollinatore, un prato, un allevatore, un agricoltore o un apicoltore”.
Il fondamentale ruolo dei Comuni
Ma a vincere c’è anche la collettività: tali aree “recuperate” e nelle quali vengono piantate anche fiori, piante e arbusti generano nuova ricchezza in termini di fertilità, riequilibrio degli spazi, tutela di specie a rischio, maggiore capacità di assorbire le piogge, offrire barriere alle correnti e ai venti.
“La sostenibilità del progetto consiste nel ridurre al minimo i costi generali, permettendo così a tutti gli attori del territorio di non essere gravati di ulteriori sforzi e costi. Ogni parte del sistema svolge quindi un ruolo attivo compreso il Comune che ha un importante compito di facilitatore” spiega Muzzarelli. “Ai Comuni chiediamo quindi di essere parte attiva e inclusiva nel coinvolgimento della cittadinanza, nella ricerca dei suoli da rigenerare, nel processo di costruzione delle Associazioni Fondiarie. A tutti loro daremo un nuovo paesaggio”.