Progetto LIFE for MIRES a metà del suo percorso: il ripristino delle torbiere all’interno dell’area offre nuove opportunità per il contrasto al cambiamento climatico, spiegano gli operatori. Ad oggi 720 ettari di suolo umido sono già tornati alla condizione originaria
di Matteo Cavallito
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Torbiere e zone umide si riprendono il proprio spazio nella Selva boema, gemma naturale incastonata tra Austria, Germania e Repubblica Ceca. Lo rendono noto i responsabili del progetto LIFE for MIRES, tracciando un primo bilancio al giro di boa dell’iniziativa. Lanciato nel 2018, il programma finanziato dalla UE, dal Ministero dell’ambiente di Praga e dalla fondazione ambientalista tedesca Bayerischer Naturschutzfonds, punta al restauro transfrontaliero delle aree interessate a tutela della biodiversità e dell’idrologia del paesaggio. Ad oggi sono stati ripristinati diversi stagni, aree di sorgente e ruscelli. La conclusione del progetto è prevista per il 2024.
Torbiere protagoniste del progetto
Al cuore dell’opera c’è il recupero delle torbiere, ambienti preziosi e peculiari che da sempre attirano l’attenzione degli studiosi. In queste aree, nelle quali la sostanza organica non si decompone, gli osservatori possono riscontare una biodiversità particolarmente interessante caratterizzata da un ampio numero di piante rare e specie animali non meno insolite. Ma c’è di più:
“Il ripristino degli habitat delle zone umide è uno dei tanti strumenti di mitigazione delle conseguenze del cambiamento climatico“, spiegano i responsabili di LIFE for MIRES. “Queste aree svolgono un ruolo insostituibile nell’idrologia del paesaggio e nel ciclo dell’acqua, producendo effetti favorevoli sul clima locale”.
Il problema, però, è che secoli di attività umane intensive hanno portato a un forte calo della presenza di acqua. Le paludi, ad esempio, “sono state drenate e convertite in terreni coltivati e la siccità è diventata un problema serio”. Da qui la necessità di operare sul territorio.
Già ripristinati 720 ettari di terreno
Intervenendo sul lato ceco della Selva Boema, ovvero nell’area più colpita dal fenomeno del drenaggio e dai suoi effetti negativi (calo della biodiversità delle torbiere, siccità estrema e inondazioni), gli operatori si sono così concentrati su un’area di 2.059 ettari. Tra le attività programmate il blocco e il riempimento di circa 80 chilometri di canali di drenaggio. Così come il ripristino dei corsi d’acqua naturali.
“Nel dicembre 2021 abbiamo concluso la seconda stagione di intervento e abbiamo potuto quantificare il risultato dei lavori sul campo” spiegano gli operatori. “Siamo riusciti a ripristinare 720 ettari di zone umide, costituite da sorgenti prative e forestali, torbiere rialzate, foreste palustri, prati acquitrinosi e pianure alluvionali di piccoli torrenti di montagna”. Il ritorno dell’acqua, precisano ancora, “è stato facilitato dal blocco di 97 km di canali di drenaggio e dal recupero di 17 km di torrenti“.
La tutela delle sorgenti è decisiva
Gli interventi, spiegano ancora gli operatori, hanno permesso di ricreare le condizioni originarie del luogo consentendo all’acqua di riemergere in superficie. “Quest’anno abbiamo ripristinato il più grande pendio di sorgente nella parte occidentale della Selva vicino all’insediamento di Skelná bloccando e riempiendo di terra i canali di drenaggio profondi quasi 3 metri”, spiega la garante del progetto Ivana Bufková. “Ora c’è un piccolo ruscello che scorre dolcemente fino al fiume Křemelná”.
Ad oggi, aggiunge, “Siamo riusciti a intervenire ogni anno su sei pendii sorgivi. Questi ultimi, molto spesso danneggiati dall’attività umana, generano i ruscelli e rappresentano quindi una struttura molto importante nel percorso dell’acqua attraverso il paesaggio”.