7 Luglio 2022

In Costa d’Avorio, spiega l’Institute for Security Studies, lo sfruttamento del suolo da parte del settore si intreccia con gli interessi del mercato illegale del legname. E così la distruzione della foresta aumenta con gravi danni per il clima e la biodiversità

di Matteo Cavallito

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Con circa 2,2 milioni di tonnellate prodotte, pari al 38% circa del totale globale, la Costa d’Avorio è il primo fornitore di cacao del Pianeta. Ma questo primato, che rimarca l’importanza della principale industria nazionale, produce da tempo un grave effetto collaterale: la deforestazione. Lo denuncia l’Institute for Security Studies (ISS), una organizzazione no profit presente nella regione con sedi in Sudafrica, Kenya, Etiopia e Senegal.

La corsa al cacao, infatti, favorisce il disboscamento, alimentando al tempo stesso il mercato illegale del legname. Il fenomeno, reso possibile anche da un’applicazione inefficace delle norme pensate per contrastarlo, finisce per mettere a rischio la sopravvivenza delle foreste vergini, territori ricchi di biodiversità e caratterizzati da un suolo particolarmente fertile che fa gola a molti.

L’industria del cacao complice della deforestazione in Costa d’Avorio

“Il progetto della criminalità organizzata prevede che gli agricoltori facciano affidamento sulla fertilità naturale del suolo nelle foreste vergini per ottenere alti rendimenti di cacao”, scrive l’ISS. “Il suolo naturale possiede migliori sostanze nutritive rispetto ai campi già coltivati. Tutto ciò spinge a distruggere le foreste per consentire la coltivazione della risorsa”. Il vero problema, però, è che il processo finisce per autoalimentarsi. Nello spazio di cinque o dieci anni, infatti, “la fertilità del suolo diminuisce e gli agricoltori si spostano verso i successivi due o tre acri di foresta vergine per piantare una nuova coltura”.

Questo processo “si replica in molte zone della Costa d’Avorio centro-orientale e occidentale, portando alla crescita di città e villaggi nelle aree forestali protette”.

È a quel punto che sulla scena fanno la loro comparsa altri soggetti estremamente pericolosi. “Per diversificare e aumentare il proprio reddito, alcuni agricoltori stringono accordi vantaggiosi con le aziende del legname e con i venditori illegali per rimuovere gli alberi e far posto alle coltivazioni di cacao. Per gli agricoltori questa pratica si è rivelata più redditizia della produzione di semi di cacao, rendendo il disboscamento illegale una delle operazioni più diffuse e redditizie del Paese per la criminalità organizzata“.

Ricadute per il clima e la biodiversità

Il risultato è che in questo modo il disboscamento aumenta con l’espansione delle coltivazioni di cacao. Secondo l’ISS, nelle zone soggette alla produzione,  la Costa d’Avorio ha perso 47mila ettari di copertura arborea solo nel 2020. Se il ritmo di distruzione dovesse mantenersi tale, il Paese finirebbe per perdere l’intera area forestale entro il 2034.

Inoltre, prosegue l’Istituto, “il disboscamento illegale legato al cacao aggredisce specie in via di estinzione come il teak, il framiré e la gmelina, che sono oggetto di rigide norme commerciali internazionali”. Il fenomeno “ha anche causato massicce perdite di biodiversità e di fauna selvatica in Costa d’Avorio, in particolare tra gli elefanti e i primati”.

Quello osservato, in ogni caso, è un processo in atto da molto tempo. Secondo le stime di Global Forest Watch, dal 2002 al 2021 la Costa d’Avorio ha perso 354mila ettari di foresta primaria. Più o meno nello stesso periodo la copertura arborea complessiva del Paese si è ridotta di 3,46 milioni di ettari, pari al 23% del totale registrato all’inizio del secolo. Questa perdita si è tradotta in emissioni aggiuntive di CO2 per 1,7 miliardi di tonnellate.

Il legname illegale vale 33,5 milioni di euro all’anno

A favorire l’opera dei taglialegna è anche la debolezza delle norme e della loro applicazione. Non mancano infatti le scappatoie legali che si aggiungono alla diffusa corruzione garantendo al crimine organizzato grandi opportunità di profitto.

“In assenza di un’applicazione sistematica della legge”, scrive l’ISS, “i taglialegna illegali producono la maggior parte del legname utilizzato in varie industrie, sottraendo reddito all’economia. Il Ministero delle Risorse idriche e forestali stima che le filiere illecite producano una quantità di legname da 15 a 30 volte superiore a quella dei commercianti formalmente autorizzati, generando per il disboscamento illegale un fatturato di oltre 33,5 milioni di euro all’anno”.

In meno di dieci anni l’Africa ha perso 49 milioni di ettari

Le vicende della Costa d’Avorio, peraltro, si collocano in un quadro molto problematico per l’Africa e il resto del Pianeta. Secondo la FAO, tra il 2010 e il 2018 la distruzione delle foreste nel mondo ha interessato in media 7,8 milioni di ettari all’anno. Nel periodo in esame, ha evidenziato l’indagine denominata Global Forest Resources Assessment Remote Sensing Survey, l’Africa si colloca al secondo posto della classifica mondiale con 49 milioni di ettari persi dietro al Sudamerica (68 milioni di ettari).