Le coste dello Stato USA e di altri stati caraibici sono invase da quantità abnormi di sargassi: si stima che le alghe sfiorino i 9mila chilometri di lunghezza e le 20mila tonnellate di peso. Alla base del fenomeno però ci sono l’abuso di fertilizzanti agricoli e la deforestazione. Una conferma del legame che unisce la salute dei suoli con quella degli oceani
di Emanuele Isonio
Che la porzione di Oceano Atlantico settentrionale, compresa tra le Azzorre a Est e le Antille a Ovest fosse caratterizzata dalla presenza di grandi banchi di alghe non lo scopriamo certo oggi. Il Mar dei Sargassi, che rimanda alle storie fantastiche di pirati ed esploratori, deve il suo nome proprio a quel tipo di vegetali. Talmente diffusi in alcuni periodi dell’anno da rallentare la navigazione dei velieri. Se ne lamentava già Cristoforo Colombo: sembra – raccontava nei suoi diari di bordo il navigatore genovese – di essersi arenati su immensi banchi di sabbia.
Un “blob” galleggiante
Secoli dopo, però, la presenza di queste leggendarie alghe appare però fuori controllo: molto più grande in quantità (la marea di sargassi si protrae per circa 8850 chilometri, per un peso approssimativo di 22 milioni di tonnellate di materia). E soprattutto si sta moltiplicando in periodi insoliti. Troppo presto, in mesi che dovrebbero ancora essere tardo invernali. Tanto da aver invaso, nei giorni e settimane scorse, molte spiagge della Florida e dei Caraibi settentrionali.
Da risorsa a patologia
E così, la presenza dei sargassi – che in quantità “normali” sono essenziali per la biodiversità di quella porzione di Atlantico, producendo ossigeno e garantendo un habitat ideale per la fauna marina. – diventa patologica. Mettendo a rischio la salute dei coralli, delle spiagge, delle preziose mangrovie, ma anche della salute umana e dell’indotto economico assicurato in quelle aree da pesca e turismo. Lo sanno bene i titolari delle strutture ricettive delle coste interessate, che hanno constatato una diminuzione di turisti e prenotazioni man mano che il fenomeno è cresciuto. Lungo le spiagge tra Miami a Jacksonville temono che quest’anno verrà superato il record (22 milioni di tonnellate) registrato l’anno scorso.

L’immagine satellitare mostra l’estensione dell’area coinvolta dalla crescita anormale delle alghe nell’Oceano Atlantico a gennaio 2023. I colori più caldi indicano una presenza più massiccia di sargassi. FOTO: South Florida University.
Ma che cosa c’è alla base di questa insolita proliferazione? I ricercatori del Dipartimento di biologia marina dell’University of South Florida stanno studiando il fenomeno da diversi anni. Utilizzando anche i dati satellitari forniti dalla NASA, hanno oosservato un aumento della fioritura dei sargassi almeno dal 2011. Secondo il team guidato dai professori Mengqiu Wang e Chuanmin Hu, il fenomeno è collegato con quanto accade in Amazzonia.
I principali indiziati sono infatti l’aumento della deforestazione (ripresa a pieno regime in Brasile con il presidente Bolsonaro) per far posto ad ampie distese di suolo coltivabile e l’uso massiccio di fertilizzanti chimici. Questi ultimi infatti, sono progettati per favorire la crescita rapida dei prodotti agricoli. Ma quelle stesse sostanze finiscono poi per arrivare nei corsi d’acqua fino al grande Rio delle Amazzoni. E da lì fino al mare. Le correnti oceaniche hanno fatto il resto, provocando un aumento incontrollato delle alghe sargasso. Fattori che fanno dire al professor Hu che “le fioriture ricorrenti dei saraggi nell’Atlantico tropicale e nel Mar dei Caraibi possono diventare la nuova norma”.
I collegamenti con lo slash and burn africano
Un altro ateneo della Florida – quello di Miami – ha aggiunto un ulteriore tassello alla ricerca delle cause principali della proliferazione dei sargassi. E l’avrebbe individuato in Africa, dove è molto utilizzata ancora la pratica dello slash and burn: una superficie forestale viene sottoposta a taglio e ripulita del sottobosco; la ramaglia viene disposta a strisce e bruciata, mentre con la legna viene prodotto del carbone. Le superfici aperte vengono coltivate per uno/due anni sfruttando la fertilità del suolo ereditata durante la fase forestale, per essere poi abbandonate alla ricolonizzazione della vegetazione naturale fino al ripristino di livelli di fertilità idonei a una nuova coltivazione.
Ma tale pratica, oltre a stressare i suoli (la crescita demografica ha ridotto il tempo tra un taglio e l’altro, rendendo difficile il recupero forestale), causerebbe il rilascio in atmosfera di nutrienti, a partire dal fosforo. L’ipotesi è stata avanzata da Cassandra Gaston, professore associato all’università di Miami ed esperta di chimica atmosferica. “Il fumo sprigionato da quegli incendi sta certamente apportando nutrienti che sono prontamente disponibili dopo che, trasportati dai venti, si depositano nell’oceano” spiega Gaston. E così facendo diventano un involontario acceleratore della moltiplicazione delle alghe sargasso.