17 Marzo 2025

Le alghe marine possono essere una fonte proteica sostenibile

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Grazie all’impiego di metodi circolari è possibile sfruttare il potenziale delle alghe per produrre cibo proteico in modo sostenibile. I risultati del progetto svedese

di Matteo Cavallito

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Sviluppare nuovi metodi circolari per coltivare e trattare le alghe marine, una risorsa notoriamente preziosa che potrebbe essere utilizzata per la produzione di ingredienti proteici. È questo lo scopo del progetto CirkAlg, un’iniziativa della Chalmers University of Technology di Göteborg, in Svezia, in corso ormai da cinque anni.

Dopo aver completato la sperimentazione, hanno spiegato i ricercatori in un articolo pubblicato dalla stessa Università, i risultati evidenziano il raggiungimento di progressi significativi. Che, affermano, potrebbero aprire la strada alla produzione di una nuova fonte nutritiva a basso impatto.

Il potenziale delle alghe

Le alghe marine, o macroalghe, hanno “un contenuto proteico relativamente elevato e possono essere coltivate con un impatto climatico minimo”, spiegano i ricercatori. A differenza delle colture terrestri, la loro coltivazione non richiede l’uso di terreni agricoli, fertilizzanti, pesticidi o irrigazione. Inoltre, le alghe contribuiscono positivamente all’ambiente assorbendo l’eccesso di azoto e fosforo dalle acque e agendo come serbatoi di carbonio.

Per queste ragioni, nel lungo periodo, le alghe “potrebbero diventare una valida alternativa o un complemento ai prodotti come la carne rossa”.

Queste piante, sottolinea Ingrid Undeland, professoressa di Scienze Alimentari alla Chalmers che ha coordinato il progetto, contengono “fibre alimentari, micronutrienti essenziali come la vitamina B12, minerali e acidi grassi marini omega-3”. Il loro gusto, “ricco di umami e salinità, le rende inoltre un ingrediente unico in cucina”. Diversi ostacoli, tuttavia, devono ancora essere superati: alcune proteine delle alghe, infatti, sono difficili da digerire e talune specie possono accumulare alti livelli di iodio. Le piante, infine, possono assorbire metalli pesanti pericolosi per l’organismo umano.

La produzione in due tempi fa aumentare i livelli proteici

Per superare questi problemi, i ricercatori hanno sviluppato un nuovo metodo di produzione in due fasi. La prima si è concentrata sull’aumento del contenuto proteico delle alghe con l’impiego di una risorsa utile quanto sottovalutata: l’acqua di processo proveniente da diverse industrie alimentari. Sottoprodotti di operazioni come sbucciatura, marinatura o trattamento termico, “queste acque ricche di nutrienti, spesso scartate o trattate a costi elevati, possono essere riutilizzate per favorire la crescita delle alghe”, spiega Undeland.

Coltivate nell’acqua di processo dell’industria dell’aringa, in particolare, le alghe hanno evidenziato livelli proteici particolarmente elevati, paragonabili, spiegano gli autori, a quelli della soia.

La seconda fase del progetto si è concentrata sullo sviluppo di nuove tecnologie per estrarre proteine dalle alghe coltivate. I nuovi metodi hanno permesso di concentrare negli estratti la vitamina B12 e gli omega-3, migliorando anche la digeribilità delle proteine stesse. “Questa scoperta segna un importante progresso”, ha spiegato João Trigo, uno dei ricercatori impegnati nel progetto. “Le difficoltà legate alle basse rese e alla complessa digestione hanno a lungo ostacolato lo sviluppo delle alghe marine come fonte proteica valida, ora però stiamo cambiando questo schema”.

Un metodo circolare per il recupero dei nutrienti

I processi adottati si sono rivelati efficaci sotto diversi punti di vista. I ricercatori, ad esempio, sono stati in grado di applicare metodi di pre-trattamento che hanno ridotto le concentrazioni di iodio prima dell’estrazione delle proteine. Gli scienziati, inoltre, hanno individuato alcune specie particolari di alghe che presentavano livelli più bassi di metalli pesanti. Le alghe coltivate nell’acqua di processo dell’aringa, infine, non hanno subito variazioni di gusto o aroma.

Il progetto CirkAlg, in sintesi, ha evidenziato ancora una volta le potenzialità delle soluzioni circolari per il recupero di sostanze nutritive dai sottoprodotti di scarto e il loro reinserimento nella catena alimentare umana. I risultati aprono ora la strada a nuovi progetti di collaborazione che coinvolgono il mondo accademico e il settore privato mentre per la nuova tecnologia di estrazione è già stata presentata una domanda di brevetto, hanno spiegato gli scienziati.