Il taglio delle emissioni di azoto non impatta sullo strato di ozono
Secondo uno studio dell’Università di Sheffield, le pratiche di riduzione del rilascio degli ossidi di azoto non rallentano il processo di ripristino della fascia di ozono nella stratosfera
di Matteo Cavallito
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L’uso di particolari tecniche come l’impiego di fertilizzanti speciali e di rocce basaltiche frantumate permette di ridurre le emissioni di protossido di azoto senza per questo rallentare il recupero generale dello strato di ozono. Lo segnala una ricerca condotta dall’Università di Sheffield. L’indagine, spiega una nota dell’università britannica, si è basata sull’applicazione di un modello di previsione in grado di simulare gli effetti di un rilascio limitato di nitrati.
Il ruolo dell’ozono
L’ozono superficiale (O3) è a tutti gli effetti un inquinante che si produce nell’atmosfera grazie all’azione della luce solare e partire da alcuni precursori chimici. Tra questi ci sono anche e i nitriti e i nitrati, ovvero gli ossidi di azoto che possono essere rilasciati soprattutto dai suoli agricoli. Questi composti, in altre parole, contribuiscono alla formazione dell’ozono stesso che, ai livelli più bassi dell’atmosfera terrestre, favorisce l’inquinamento e l’effetto serra.
Non sorprende, dunque, che la riduzione delle emissioni degli ossidi di azoto determini anche un miglioramento della qualità dell’aria, oltre a ridurre i rischi di contaminazione delle acque e dell’ambiente. Il problema, però, è che l’ozono stesso svolge contemporaneamente una funzione essenziale a livello di stratosfera dove la sua presenza garantisce l’assorbimento dei dannosi raggi ultravioletti. E con esso la continuità della vita sulla Terra.
L’azione degli ossidi di azoto
Osservati per la prima volta negli Anni ’70 del secolo scorso, l’assottigliamento della fascia di ozono e l’apertura della famigerata breccia al suo interno hanno suscitato particolari preoccupazioni inducendo i governi a prendere provvedimenti per limitare la produzione dei gas CFC (o clorofluorocarburi) giudicati come i principali responsabili del fenomeno.
Da allora la situazione è andata migliorando al punto che la fascia di ozono continua a sperimentare tuttora un progressivo risanamento.
Ma gli equilibri, si sa, possono essere sottili. E infatti, sottolineano i ricercatori di Sheffield, “a livello internazionale ci si sta concentrando sullo sviluppo di strategie di riduzione dei nitrati per impedire che il suolo rilasci protossido di azoto nell’aria, al tempo stesso, tuttavia, si teme che la riduzione di queste emissioni possa anche rallentare il ripristino dello strato di ozono”.
Nessun impatto sul ripristino della fascia di ozono
Lo studio realizzato dai ricercatori, tuttavia, ha fornito risposte rassicuranti evidenziando “i duplici vantaggi delle strategie di riduzione dei nitrati, che possono fornire sostanziali benefici climatici – raffreddando il Pianeta e proteggendo lo strato di ozono senza impattare dunque sui dannosi raggi UV – e ambientali, riducendo la lisciviazione dei nitrati nei corsi d’acqua e negli habitat naturali”.
In sintesi, sottolineano i ricercatori, alcuni “metodi di coltivazione possono ridurre le emissioni di protossido di azoto senza rallentare il recupero complessivo dello strato di ozono“.
I risultati, in particolare, “hanno dimostrato che un uso plausibile di fertilizzanti con inibitori della nitrificazione e un potenziamento della meteorizzazione arricchita delle rocce (una tecnica che consiste nel frantumare forzatamente le rocce stesse e spargere la loro polvere sul terreno per favorire il sequestro di CO2, ndr) potrebbe ridurre del 25% circa le emissioni agricole di nitrati”. Lo studio, concludono gli autori, offre quindi un ulteriore sostegno alle politiche di riduzione delle emissioni degli ossidi di azoto e all’adozione di pratiche agricole coerenti.

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