13 Settembre 2024

La coltivazione del riso aiuta a proteggere la salute del suolo

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Coltivando riso nei campi vocati alla canna da zucchero si protegge l’umidità del terreno e si contrasta la presenza dei patogeni. Dalla Florida, la storia di una pratica agricola di successo

di Matteo Cavallito

 

Sopprimere l’attività microbica dannosa, far aumentare la capacità di ritenzione idrica del suolo contrastando così la siccità, migliorare la salute dell’ecosistema favorendone la biodiversità. Sono questi gli effetti benefici che si possono ottenere facendo qualcosa di straordinariamente normale: coltivare riso.

Viene dalla Florida, e più precisamente dalla zona delle cosiddette Everglades, un’area umida situata nel sud dello Stato, una particolare storia di successo nell’impiego di pratiche agricole a impatto positivo. A raccontarla, in un’intervista al portale australiano The Conversation, Jehangir Bhadha, docente ed esperto del tema.

Il riso? Si coltiva nei campi della canna da zucchero

“Il riso è stato coltivato nell’area agricola delle Everglades per un breve periodo negli anni ’50 in uno spazio di soli 800 ettari”, spiega Bhadha, professore presso l’Università della Florida. “In seguito, in Florida è stato scoperto un virus del riso chiamato hoja blanca, o foglia bianca – già segnalato alla fine degli anni Cinquanta in Colombia e Venezuela – che colpisce le piante arrivando talvolta a ucciderle”.

La ripresa dell’attività si colloca a metà degli anni ’70 quando gli agronomi, con il patogeno ormai sotto controllo, hanno un’idea: coltivare il riso d’estate nei campi destinati alla canna da zucchero.

Risultato: “Nella tarda primavera e in estate, ci sono più di 20mila ettari di terreno incolto a canna da zucchero disponibili per la produzione di riso”, prosegue Bhadha. “Nel 2023, circa la metà di questi campi è stata destinata alla produzione del cereale. La parte restante rimane incolta o viene inondata, una pratica comunemente chiamata ‘allagamento a maggese’”.

Effetti benefici per il suolo

Negli ultimi anni i ricercatori dell’Istituto di Scienze Agrarie e Alimentari dell’Università della Florida hanno studiato nuove varietà di riso contribuendo al loro impianto sulla zona interessata (oltre 10 tipi differenti su 9.300 ettari di campi). Qui la presenza di una notevole quantità di nutrienti nel suolo permette di ottenere buone rese senza ricorrere ai fertilizzanti. Ma a spiccare sono soprattutto gli effetti positivi per il terreno.

“Inondando questi campi per periodi prolungati, i coltivatori sopprimono sia l’attività microbica che causa l’ossidazione sia la schiusa degli insetti nocivi”, spiega il docente.

“Questa pratica, inoltre, fa aumentare la capacità di accumulo dell’acqua del terreno, consentendo di conservare maggiormente l’umidità durante i periodi più secchi dell’anno”. Nel mentre “il miglioramento della salute del suolo favorisce la coltura della canna da zucchero e massimizza la longevità del terreno stesso”. Infine, “la coltivazione di riso allagato ha contribuito anche ad attirare uccelli trampolieri come l’airone bianco maggiore, la garzetta e l’ibis”.

Una risorsa contro la subsidenza

Ma non è tutto. Tra gli effetti positivi della coltivazione di riso c’è anche il contrasto a un fenomeno noto come subsidenza. Ovvero la perdita di volume e profondità dei terreni causata proprio da quell’ossidazione di origine microbica – prodotta da una carenza d’acqua – che le colture del cereale tendono invece a ostacolare.

In circostanze normali l’ossidazione mediata dai microbi porta alla disintegrazione della materia organica che comporta la graduale perdita di suolo. L’area osservata non ha fatto eccezione cedendo quasi 1,8 metri di terreno nello spazio di un secolo.

Tale fenomeno è stato però rallentato negli ultimi decenni dal già citato allagamento dei campi per la coltivazione del riso. Nel corso del tempo, spiega l’Università della Florida, il ritmo di subsidenza del terreno si è dimezzato passando da uno a mezzo pollice (da 2,54 a 1,27 centimetri, ndr) di perdita all’anno. Questo miglioramento è stato attribuito in parte all’impiego di migliori pratiche di gestione da parte dei coltivatori.