Ecoacustica: i suoni del suolo misurano la biodiversità
Una ricerca australiana ha evidenziato la correlazione tra la complessità dei rumori prodotti dalle comunità di invertebrati e il livello di biodiversità presente in un terreno
di Matteo Cavallito
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I suoni del suolo? Sono la misura stessa della sua salute e della biodiversità. È l’idea alla base dell’ecoacustica, una nuova disciplina che sta suscitando l’interesse degli scienziati impegnati a studiare gli ecosistemi acquatici e terrestri. Tra loro anche i ricercatori della Flinders University di Adelaide, nell’Australia meridionale, che, di recente, hanno diffuso i dettagli del loro ultimo studio in materia.
I risultati emersi, si legge nella ricerca pubblicata sul Journal of Applied Ecology, la rivista della British Ecological Society, “forniscono nuovi elementi a sostegno della capacità di questo sistema di monitorare la biodiversità del suolo in diversi contesti di recupero forestale, inclusi i boschi temperati del Regno Unito e quelli erbosi australiani”. La tecnica, in particolare, “risulta promettente nel rispondere all’esigenza di disporre di metodi efficaci di monitoraggio a livello globale e di proteggere i diversi ecosistemi del nostro pianeta”.
Una nuova disciplina applicata al terreno
L’ecoacustica, hanno spiegato gli autori, è lo studio dei suoni prodotti dalle comunità animali, dalle piante e dal loro ambiente. Negli anni, gli scienziati hanno sperimentato l’impiego di registratori sugli alberi per captare i rumori prodotti dalle diverse specie in superficie. Hanno così potuto ottenere informazioni rilevanti sulla biodiversità e sulle dinamiche degli ecosistemi. Gli stessi principi e strumenti vengono ora applicati al suolo.
“I ricercatori hanno iniziato a esplorare i suoni del suolo, utilizzando registratori e microfoni speciali collegati a sonde posizionate nel terreno”, hanno osservato i ricercatori della Flinders in un articolo pubblicato dal network australiano The Conversation. “Questi dispositivi registrano le vibrazioni acustiche prodotte dagli organismi che vivono nel suolo mentre si muovono nel mondo sotterraneo”. I dati raccolti sono particolarmente rilevanti.
Nelle aree rigenerate una maggiore complessità di suoni
Lo studio, che segue una ricerca analoga realizzata nel 2022 nel Regno Unito, è stato condotto nella riserva naturale di Mount Bold, nel sud dell’Australia e ha impegnato il gruppo dei ricercatori della Flinders University guidati dal docente di ecologia del ripristino, salute degli ecosistemi e genomica, Martin Breed, e del suo collega della Chinese Academy of Sciences, Xin Sun. Qui gli autori hanno impiegato vari strumenti tra cui un dispositivo di campionamento sotto terra e una camera di attenuazione del suono.
In questo modo è stato possibile registrare i suoni prodotti dalle comunità di invertebrati del suolo la cui presenza è stata quantificata anche attraverso il conteggio manuale.
Le registrazioni sono state effettuate in alcune aree disboscate e in altre zone che erano state invece rigenerate. In queste ultime sono state notate una maggiore complessità e una più ampia diversità acustica. Due aspetti, questi ultimi, che sono risultati “significativamente associati alla ricchezza di invertebrati del suolo”.
Un suolo silenzioso non può essere sano
La ricerca, insomma, evidenzia secondo gli autori come i suoni del terreno possano essere una misura della presenza e della vitalità degli invertebrati, soggetti notoriamente essenziali per il mantenimento dell’equilibrio dell’ecosistema suolo.
“Abbiamo riscontrato una maggiore varietà di crepitii, ticchettii e schiocchi nei terreni rigenerati”, hanno spiegato ancora gli scienziati. “Abbiamo collegato questo fenomeno alla presenza di un maggior numero di invertebrati in movimento. Se il terreno sembra silenzioso, è segno che non è sano”.
Infine, gli autori evidenziano l’importanza dell’ecoacustica nel quadro degli sforzi di risanamento dei terreni globali, tuttora soggetti a un generale degrado. “Questo nuovo campo di ricerca mira a indagare i vasti e brulicanti ecosistemi nascosti in cui vive quasi il 60% delle specie della Terra”, ha spiegato Jake Robinson, ricercatore della Flinders University, in una nota diffusa dallo stesso ateneo. “Il futuro di questa comunità di specie viventi è oggi a rischio in mancanza di interventi di ripristino”.

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