Suolo, clima e bioeconomia: “L’Europa rimetta al centro gli agricoltori”
Arianna Giuliodori (Coldiretti): “Acqua e suolo devono essere priorità strategiche per la UE. Agricoltura alleata della mitigazione climatica ma attenzione a greenwashing e speculazione”. Il futuro della bioeconomia? “Servono investimenti e innovazione”
di Matteo Cavallito
“La proposta della Commissione sul nuovo Quadro Finanziario Pluriennale indebolisce fortemente la PAC e la coesione sociale con gravi conseguenze per la sicurezza alimentare e la gestione sostenibile dei territori europei: un rischio che non possiamo permetterci”. Non usa certo mezzi termini Arianna Giuliodori in riferimento al Multiannual Financial Framework (MFF) 2028-2034 presentato a luglio che disciplina la gestione di fondi complessivi per quasi 2 trilioni di euro.
Un piano, ha spiegato la responsabile dell’ufficio Coldiretti a Bruxelles, intervenuta lo scorso mese di ottobre agli Stati Generali del Suolo di Ecomondo, contestato dalle maggiori associazioni di categoria italiane alla luce della sua novità più importante: la prevista costituzione di un fondo unico destinato a raccogliere tutti i finanziamenti UE concessi dagli Stati membri e dalle regioni. La discussione prosegue, ovviamente. E gli argomenti sul tavolo, sottolinea, sono ancora molti.
A Bruxelles vi sono tuttora diversi dossier aperti sui temi che interessano l’agricoltura e il suolo. Quali sono le vostre aspettative?
Come Coldiretti ci aspettiamo da parte della UE una visione coerente e integrata su suolo, acqua e produttività, tre dimensioni strettamente legate tra loro. Vogliamo una politica europea che parta dal territorio, valorizzi il ruolo degli agricoltori e consideri suolo e acqua non come risorse da gestire, ma come beni comuni da preservare.
Come dovrebbe tradursi tutto questo a livello di Politica Agricola Comune?
L’acqua è una risorsa trasversale che incide su ambiente, energia, salute e infrastrutture e deve essere trattata come una priorità strategica e non come una semplice misura agricola. Per questo chiediamo che la resilienza idrica disponga di una linea di finanziamento autonoma ma coordinata con la PAC e la politica di coesione. A tal proposito riteniamo poi che la Strategia europea in materia debba far parte di un quadro unitario che coinvolge anche un altro tassello fondamentale: quello relativo al suolo.
Cosa vi attendete in particolare dalla nuova direttiva “Soil Monitoring Law”?
È un traguardo importante che rappresenta per noi il frutto di anni di lavoro e di dialogo con le istituzioni UE. Per la prima volta l’Europa riconosce il suolo come una risorsa viva, limitata e non rinnovabile e definisce un quadro comune per la sua tutela e rigenerazione. Nell’attuazione a livello nazionale auspichiamo misure concrete e obiettivi chiari, a cominciare dall’azzeramento del consumo netto di suolo entro il 2050. Servono inoltre indicatori comuni della salute dei terreni agricoli e limitazioni al loro consumo.
L’interesse attorno all’agricoltura rigenerativa continua a crescere. Quali sono le prospettive di questo comparto?
Molte iniziative internazionali che si presentano come “rigenerative” sono promosse e controllate da grandi gruppi industriali e piattaforme globali che definiscono standard e certificazioni senza un reale coinvolgimento del mondo agricolo con il rischio di trasformare un principio virtuoso in uno strumento di greenwashing. In realtà l’agricoltura rigenerativa è tutt’altro: nasce dal sapere e dall’esperienza degli agricoltori e produce valore nel tempo rafforzando la capacità del suolo di resistere agli stress climatici. Il punto di partenza, dunque, non può essere un nuovo sistema di standard globali uguali per tutti ma il riconoscimento, al contrario, delle specificità territoriali e delle diverse vocazioni produttive europee.
Il carbon farming può dare un contributo decisivo al contrasto al cambiamento climatico?
L’agricoltura e gli agricoltori sono una parte molto rilevante della soluzione al problema del cambiamento climatico. Il Regolamento europeo sulla certificazione delle rimozioni di carbonio (CRCF), approvato nel 2024, segna in questo senso un passo importante ma il rischio è che si apra la strada alla speculazione spostando il valore economico del suolo dal prodotto agricolo al credito di carbonio, riproducendo logiche finanziarie già viste con il fotovoltaico a terra. E quando la rendita sostituisce la produzione, si sa, si perde non solo la sovranità alimentare ma anche la coerenza ambientale del sistema.
Cosa serve per evitare tutto questo?
Un quadro di certificazione fondato su risultati misurabili e verificabili, sulla tracciabilità permanente del carbonio e sul riconoscimento della funzione produttiva primaria del terreno. L’agricoltore deve essere quindi riconosciuto come attore attivo della mitigazione climatica, non come fornitore di crediti di compensazione per altri settori. Il carbon farming, insomma, deve contribuire a migliorare la fertilità dei suoli, la gestione idrica e la resilienza climatica. Creando valore economico e ambientale per le imprese e per le comunità rurali.
Quale ruolo possono avere in questo senso i bioprodotti, come bioplastiche, biofertilizzanti e compost da frazione organica, da utilizzare in alternativa ai prodotti di sintesi?
I bioprodotti sono un tassello fondamentale per costruire un modello agricolo europeo più circolare e competitivo. Possono migliorare la fertilità dei suoli, ridurre gli input chimici e rafforzare l’autonomia delle imprese. Compost, biofertilizzanti e bioplastiche biodegradabili inoltre possono migliorare la struttura del terreno, aumentare la capacità di ritenzione idrica e ridurre la contaminazione delle acque. Ma per ottenere tutto questo è necessario compiere uno sforzo importante.
Di cosa abbiamo bisogno in particolare?
Serve una vera filiera europea della bioeconomia sostenuta da investimenti in ricerca, innovazione e trasferimento tecnologico. In questo senso guardiamo con grande attenzione alla nuova Bioeconomy Strategy che la Commissione europea presenterà il 25 novembre. Ci aspettiamo che riconosca il ruolo centrale dell’agricoltura come fonte di biomasse, innovazione e occupazione verde e che garantisca strumenti finanziari adeguati per favorire la diffusione dei bioprodotti in tutta la filiera agricola.
Come vede dunque il futuro del settore?
Il futuro della bioeconomia europea dipende dalla capacità di mettere l’agricoltore al centro: non come semplice utilizzatore ma come protagonista della sostenibilità e della creazione di valore economico, ambientale e sociale.

©FAO/Giulio Napolitano. Editorial use only. Copyright ©FAO
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