Grazie alla luce possiamo migliorare la crescita delle piante
Uno studio americano fornisce nuove informazioni su come le piante rilevano la luce e crescono. La scoperta potrebbe aiutare a realizzare colture più resistenti
di Matteo Cavallito
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Per ottenere rese più elevate nei campi è possibile puntare su un fattore talvolta sottovalutato: la luce. Ad affermarlo un’équipe di ricercatori dell’Università del Wisconsin-Madison che ha osservato il ruolo di un importante fotorecettore nei fusti delle piante. Tale scoperta, afferma lo studio pubblicato sulla rivista Current Biology, consente di espandere le conoscenze sui meccanismi utilizzati dai germogli per percepire la luce e orientare la propria crescita.
La luce influenza la crescita delle piante
Lo sviluppo iniziale dello stand, ovvero il modo in cui le piante affondano le radici nel suolo, è un indicatore importante del successo delle colture, sottolinea una nota dei ricercatori. Comprendere come i fotorecettori influenzino questa fase della crescita è quindi di grande interesse sia per gli studiosi che per gli agricoltori.
Quando una pianta germoglia, proseguono gli autori, il suo fusto si allunga per spuntare dal terreno fino a quando i fotorecettori non rilevano sufficiente luce solare per produrre energia tramite fotosintesi.
Gli imprevisti, però, non mancano. Talvolta, infatti, le piantine che emergono dal suolo, possono essere nuovamente ricoperte dalla terra a causa di diversi fattori come il vento o il passaggio di qualche animale. Quando l’esposizione alla luce viene a mancare il processo di fotosintesi non può proseguire mettendo così a rischio la sopravvivenza della pianta. Ed è quel punto che entra in gioco un attore finora sconosciuto: il crittocromo 1 (cryptochrome-1 o cry1), il vero protagonista di questa storia.
Un fotorecettore decisivo
Analizzando il caso dei germogli di Arabidopsis, una pianta modello, i ricercatori hanno scoperto che cry1 non solo controlla l’allungamento della parte superiore del fusto ma aiuta anche la pianta a tornare alla luce. Al pari di un altro fotorecettore chiamato fototropina 1, il crittocromo 1 agisce come freno impedendo alle cellule di allungarsi troppo così da non crescere in modo incontrollato. Quando la pianta germoglia, in altre parole, esso ne impedisce l’allungamento completo, conservando energia e lunghezza del fusto in riserva.
In questo modo, se la piantina viene ricoperta di nuovo, il fotorecettore può stimolarla ad allungarsi ulteriormente fino a emergere di nuovo dal terreno.
Misurando la crescita a intervalli temporali di pochi minuti con l’impiego dell’apprendimento automatico, spiega lo studio, è stato possibile osservare il meccanismo nel dettaglio.
I recettori si bilanciano tra loro
La luce blu, quella cioè dotata di maggiore energia rispetto alle altre dello spettro visibile, è stata intercettata dalla fototropina 1 che “ha rapidamente inibito l’espansione” delle cellule dell’ipocotile, la parte del fusto appena sotto le foglie giovani, in una zona ampia che si trova circa 1 millimetro sotto la punta del fusto (nel cosiddetto nodo cotiledonario). Al tempo stesso lo stesso recettore ha stimolato la crescita di altre cellule che non si erano ancora allungate, in una zona più ristretta, più vicino alla punta del fusto.
Contemporaneamente, “Il cry1 nucleare, e non il suo pool citoplasmatico, ha contrastato l’azione avviata da fototropina 1 delle piccole cellule in questa regione apicale, impedendo loro di entrare nella zona di allungamento più basale”. Cry1, in altri termini, ha bilanciato l’allungamento del fusto, fermando la crescita in una zona specifica e stimolandola in un’altra ottenendo un’espansione più equilibrata.
L’importanza della scoperta
La ricerca fornisce dunque dettagli inediti sul fenomeno. “Per la prima volta ci siamo resi conto che l’effetto di questi fotorecettori non è presente ovunque lungo il gambo dove differenti fotorecettori ne controllano regioni diverse”, ha spiega Edgar Spalding, professore emerito di botanica presso l’Università del Wisconsin-Madison e co-autore dello studio insieme al ricercatore Julian Bustamante e al data scientist Nathan Miller. I risultati, concludono gli autori, aprono quindi nuove prospettive sullo studio dei semi e del ruolo di cry1 per aiutare le colture più vulnerabili a raggiungere un’adeguata lunghezza di fusto conservando l’energia necessaria per riemergere qualora fossero coperte dalla terra.

Foto: roc&rm Attribution-NonCommercial-NoDerivs 2.0 Generic CC BY-NC-ND 2.0 Deed
Patrick Domke / ETH Zurich, per uso non commerciale
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