Nella sede di Faenza del colosso del vino cooperativo Caviro un impianto di compost. Produrrà fino a 50mila tonnellate annue grazie a sfalci, potature del verde pubblico, sottoprodotti dell’attività vinicola e scarti della filiera agroalimentare
di Emanuele Isonio
L’impennata del prezzo dei fertilizzanti ha certamente reso ancora più appetibile il progetto. Ma l’iniziativa parte da molto più lontano. In tempi non sospetti, ormai quasi 5 anni fa, l’università di Bologna ha iniziato a studiare l’efficacia e i vantaggi dell’uso di fertilizzanti naturali ottenuti tramite i sottoprodotti dell’attività vinicola. I risultati di quegli studi hanno portato a un effetto concreto nelle settimane scorse: nella sede di Faenza del colosso del vino cooperativo Caviro è stato infatti inaugurato uno stabilimento per la produzione di un ammendante compostato da scarti della filiera agroalimentare (ACFA). In primis vinacce, sfalci, raspi e vinaccioli.
In poche parole: un compost di origine vegetale, fertilizzante naturale che offre vantaggi da più punti di vista, soprattutto se confrontato con gli omologhi chimici. Vantaggi in termini economici, di nutrimento dei suoli e di valorizzazione dei rifiuti di origine vegetale.
Un aiuto per agricoltori e suoli
L’impianto ha una capacità produttiva di 50mila tonnellate annue ma è già stato predisposto per raggiungere in futuro le 80mila tonnellate. Il frutto di un investimento di 8,5 milioni di euro, di proprietà di Enomondo, società partecipata da Caviro Extra ed Herambiente, la multiutility che gestisce acqua, gas e rifiuti in molti comuni dell’Emilia Romagna.
“Questo nuovo impianto offre un ulteriore servizio agli agricoltori e ai soci del Gruppo Caviro” spiega Sergio Celotti, amministratore delegato di Enomondo. “In un contesto mondiale di aumento considerevole dei prezzi dei fertilizzanti e di una loro scarsa disponibilità, mettiamo a disposizione un prodotto naturale e a basso costo. È un processo che perfeziona la nostra economia circolare, perché restituisce valore alla terra e alla vigna”.
Quattro anni di prove in campo
La nuova struttura permette di trasformare in compost sia sfalci e potature sia il digestato ottenuto dalla precedente digestione anaerobica per produrre biogas. “L’intero processo avviene al chiuso, in uno stabile di 10mila metri quadrati, sotto costante aspirazione” aggiunge Giovanni Ferrucci, responsabile commerciale di Enomondo. “L’aria viene poi inviata a dei grandi biofiltri per ridurre le emissioni odorigene”.
L’avvio della produzione del compost nell’impianto di Faenza è il punto di arrivo di prove in campo avviate nel 2017. L’obiettivo era di individuare un prodotto che permettesse agli agricoltori di affrancarsi dall’uso di fertilizzanti chimici e al tempo stesso di aumentare il contenuto di carbonio organico nei terreni. Dalla presenza di quest’ultimo in quantità adeguata dipende infatti la possibilità di mantenere le rese agricole e di contrastare il degrado dei suoli. Un’esigenza quanto mai urgente, visto che in alcune zone della Pianura Padana i contenuti di sostanza organica sono inferiori all’1%, soglia limite di desertificazione.

La presenza di carbonio organico nel suolo nell’UE – 2015 (g/kg). FONTE: JRC, 2018.
Le analisi hanno verificato che l’uso di ACFA permette di ridurre i fertilizzanti chimici anche del 50%. In più, garantisce l’apporto non solo di macroelementi come azoto, fosforo e potassio ma di tutta una serie di microelementi essenziali per la salute del sistema suolo-pianta. “Dopo 4 anni abbiamo ottenuto un prodotto eccellente – conclude Celotti – che raggiunge parametri di qualità perfetti in 30 giorni di fermentazione, anziché nei consueti 90. È un prodotto che viene dalla vigna e alla vigna torna, ne rigenera il suolo, consentendo anche alle nuove piante di crescere più sane e con migliori caratteristiche organolettiche”.

La collocazione dei terreni scelti per le prove agronomiche dei fertilizzanti organici. FOTO: Presentazione prof. Marco Grigatti – Università di Bologna.