Al via il progetto SOMMIT condotto dal CREA nell’ambito del programma congiunto europeo sul suolo. L’obiettivo? Studiare il miglior bilanciamento tra fertilità, sequestro di carbonio ed emissioni di gas serra. Per offrire soluzioni efficaci in tutto il Continente
di Matteo Cavallito
Individuare le migliori soluzioni per migliorare la fertilità del suolo riducendo le emissioni di gas serra. È l’obiettivo del progetto SOMMIT, lanciato dal CREA, il Consiglio delle ricerche per agricoltura ed economia agraria del Ministero dell’Agricoltura, e finanziato dallo European Joint Programme EJP-Soil, l’iniziativa continentale che coinvolge 13 istituzioni di 9 diversi Paesi. La ricerca punta a studiare l’interazione tra le strategie agricole e il bilancio tra sequestro di carbonio e rilascio gassoso. Due dinamiche, queste ultime, che si intrecciano producendo risultati variabili. Con ovvie conseguenze per il clima.
Decisive le caratteristiche del terreno
L’addizione di materia organica al suolo è considerata centrale nelle strategie di bioeconomia circolare. Prodotti come il compost o i reflui della zootecnia possono far crescere la fertilità e il sequestro di carbonio. Ma i livelli di ritenzione e la quantità di emissioni non sono facili da determinare visto che i fattori in gioco sono moltissimi. “Il suolo è un sistema complesso in cui interagiscono fattori pedologici – che identificano le proprietà chimiche e fisiche del terreno – e climatici” spiega Alessandra Lagomarsino, ricercatrice del CREA Agricoltura e Ambiente e coordinatrice del Progetto SOMMIT. “A questo si aggiungono i diversi effetti associati al tipo di coltura cui il suolo stesso è soggetto e le caratteristiche dei differenti input organici”. Tutti aspetti da prendere in considerazione. Soprattutto alla luce dei noti effetti collaterali.
Bilanciare i fattori per ridurre le emissioni
La materia organica aggiunta al suolo favorisce lo stoccaggio di carbonio ma, in alcuni casi, può contribuire, per contro, alle emissioni di gas serra. “I reflui zootecnici, ad esempio, producono un aumento del rilascio del protossido d’azoto, un gas con un potenziale di riscaldamento quasi 300 volte più potente rispetto alla CO2” rileva Lagomarsino. Ma queste dinamiche non sono identiche ovunque perché a pesare sono appunto le diverse caratteristiche del terreno. “Un suolo argilloso mediterraneo, ad esempio, si comporta in maniera diversa rispetto a un omologo sabbioso dell’Europa centrale” prosegue la ricercatrice. L’obiettivo finale della ricerca, dunque, consiste nell’individuare le pratiche più adatte per ottenere il migliore trade-off possibile. “Vale a dire aumentare il sequestro di CO2 senza favorire eccessivamente le emissioni di protossido d’azoto”.
Tre diversi approcci
Lo studio si basa su tre diversi approcci. Si parte con i dati esistenti che sono resi disponibili da altre indagini. In primo luogo di tratta di condurre una meta analisi sul tema specifico del bilanciamento sequestro/emissioni, un argomento ancora poco studiato sul quale però è intervenuto di recente un interessante lavoro condotto da Bertrand Guenet, ricercatore del Laboratorio di Scienze del Clima e dell’Ambiente di Gif-sur-Yvette (Francia), e pubblicato lo scorso mese di settembre. A questo si aggiungono le prove sperimentali condotte in sette diversi siti che sono sotto osservazione da decenni, un arco temporale ideale per valutare le dinamiche di cattura e rilascio dei gas serra che, ricorda la coordinatrice del progetto, “diventano visibili solo nel lungo periodo”.
Infine l’approccio modellistico, che dovrebbe consentire, alla luce del lavoro svolto, di ipotizzare effetti e soluzioni per terreni differenti soggetti a diverse condizioni chimiche, fisiche e climatiche. Lo studio integrato di questi aspetti permetterà quindi di fornire soluzioni a tutti i soggetti coinvolti nella gestione del suolo. Dagli agricoltori alla società civile fino agli utenti finali.