26 Ottobre 2022

La denuncia del Norwegian Refugee Council: a causa della siccità le comunità agricole irachene sperimentano un nuovo calo dei raccolti. Il peggioramento della crisi climatica e idrica rappresenta un disastro economico per le regioni coinvolte

di Matteo Cavallito

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Il clima impietoso continua a colpire l’Iraq favorendo una siccità che minaccia le rese agricole del Paese. Un problema tutt’altro che inedito per le comunità locali, costrette a sperimentare un calo dei raccolti di cereali, frutta e ortaggi per il secondo anno consecutivo con ovvie conseguenze sul piano economico. Lo denuncia il Norwegian Refugee Council, il Consiglio norvegese per i rifugiati (NRC), in un rapporto che precede l’imminente conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (COP 27) che si terrà in Egitto il mese prossimo.

“Stiamo assistendo ai continui danni causati dalla crisi climatica e idrica”, ha dichiarato James Munn, direttore nazionale della NRC per l’Iraq. “La gente vede svanire, anno dopo anno, la propria terra fertile e i propri raccolti. I suoli che hanno nutrito una nazione si stanno rapidamente prosciugando”.

L’indagine

Nel mese di agosto, l’agenzia norvegese ha intervistato 1.341 famiglie nei governatorati di Anbar, Bassora, Dohuk, Kirkuk e Ninewa per valutare l’impatto della siccità e della crisi climatica sull’ultima stagione dei raccolti. L’indagine è stato integrata con la testimonianza di alcuni esperti e l’analisi di quattro casi studio.

“L’88% di coloro che gestiscono colture irrigue ha dichiarato che le precipitazioni non sono state sufficienti in questa stagione per far far prosperare le proprie coltivazioni”, ha spiegato il Council norvegese.

Per far fronte alla crisi, rileva ancora la ricerca, il 28 per cento delle famiglie in tutti i governatorati ha iniziato ad acquistare acqua potabile, sostenendo quindi una spesa aggiuntiva. Il 25% ha cambiato la propria fonte di approvvigionamento e il 24% ha dovuto ridurre la quantità di risorse idriche utilizzate.

Una siccità di lungo periodo

Lo studio condotto dal NRC ha documentato l’impatto a lungo termine della crisi. Nei luoghi maggiormente interessati dal fenomeno, riferisce l’indagine, “una famiglia su tre ha dovuto ridurre la superficie coltivata, con una conseguente perdita significativa di raccolti e di reddito“. Quattro intervistati su 10, inoltre, “hanno dichiarato di aver raccolto meno grano, orzo, frutta e verdura rispetto all’anno precedente”.

La crisi idrica irachena si è aggravata negli ultimi tempi a causa del calo record delle precipitazioni e dell’aumento delle temperature. La riduzione del flusso fluviale dai Paesi confinanti e la mancanza di investimenti e di gestione a livello nazionale hanno fatto il resto.

Osservato speciale è ovviamente il cambiamento climatico. Le responsabilità del riscaldamento globale, infatti, sono note da tempo e non solo nella nazione mediorientale. Nelle ultime settimane, uno studio del World Weather Attribution (WWA), un gruppo di scienziati formatosi per studiare l’incidenza degli eventi estremi, ha evidenziato ad esempio come la crisi climatica avesse reso almeno 20 volte più probabile la siccità record che ha colpito l’Europa questa estate”.

I risvolti economici

Le conseguenze economiche sono altrettanto preoccupanti. “L’aggravarsi della crisi climatica e idrica rappresenta un disastro per le regioni che da tempo si affidano all’agricoltura come principale fonte di reddito e di sostentamento”, spiega ancora il NRC. Più di un terzo degli intervistati (38%) ha riferito di un aumento delle tensioni sociali per la competizione per le risorse e i posti di lavoro. Alle attuali condizioni, affermano i ricercatori, molti esponenti delle comunità agricole irachene saranno costretti a lasciare le loro terre per trasferirsi nelle aree urbane.

L’agenzia norvegese ha lanciato un appello alla comunità internazionale per l’erogazione di maggiori finanziamenti all’Iraq con l’obiettivo di rafforzare la resilienza climatica del Paese. Diventa inoltre necessario, prosegue NRC, “intensificare gli sforzi diplomatici per garantire un equo accesso ai flussi d’acqua regionali transfrontalieri dei fiumi Tigri ed Eufrate”. Nonché, conclude l’organizzazione, un incremento degli investimenti nella gestione delle acque e nello sviluppo delle infrastrutture da parte del governo.