10 Giugno 2022

Ridurre l’impatto ambientale dei sistemi agroalimentari è quanto mai urgente per contrastare il degrado dei suoli. La FAO ha indicato alcune linee guida su cui intervenire nei prossimi 10 anni. Dalla bioeconomia, ai diritti sociali fino alla lotta contro la contaminazione da plastiche

di Emanuele Isonio

Lotta all’uso della plastica in campo, investimenti in bioeconomia circolare, tutela dei diritti delle popolazioni locali e del paesaggio locale, open data. Cinque direttrici lungo le quali ripensare l’attuale sistema agroalimentare nel prossimo decennio. Ambiti diversi tra loro ma che, tutti insieme, possono fornire un contributo rilevante nella strada del contrasto ai cambiamenti climatici. Che non vuol dire solo ridurre le emissioni climalteranti nette ma anche salvaguardare gli ecosistemi, la biodiversità e, di conseguenza, la salute dei suoli e la sicurezza alimentare globale. A ricordarli, in occasione della recente Giornata mondiale dell’Ambiente, è la FAO.

Dalla filiera agroalimentare um terzo delle emissioni

L’urgenza di intervenire è tutta nei numeri. La produzione alimentare mondiale vale da sola circa un terzo delle emissioni globali di CO2. Nel 2018, l’ultimo anno per il quale sono disponibili dati completi, il sistema alimentare globale – ricordava un rapporto dell’Agenzia Onu – ha prodotto emissioni per 16 miliardi di tonnellate di CO2. Ovvero l’8% in più rispetto all’ammontare rilevato nel 1990.

Nel contempo, la degradazione dei suoli mondiali, con la conseguente perdita di sostanza organica e rilascio di emissioni climalteranti, prosegue. Ripristinare 350 milioni di ettari di terreno degradato entro il 2030 potrebbe generare 9mila miliardi di dollari di servizi ecosistemici. Un’azione che potrebbe rimuovere tra 13 e 26 gigatonnellate di gas serra dall’atmosfera.

“Se non badiamo alle nostre risorse naturali e all’ambiente circostante, mettiamo a rischio la nostra alimentazione e la stessa agricoltura” ricorda la FAO. Da qui la proposta di agire in cinque ambiti che più di altri possono produrre consistenti effetti positivi.

1. Bioeconomia circolare al servizio dei suoli

Nella crescita del metasettore della bioeconomia circolare la FAO ripone grandi speranze. Esso, è appena il caso di ricordarlo, riunisce tutte le attività produttive che utilizzano risorse biologiche, inclusi gli scarti, per produrre beni ed energia.

“La bioeconomia circolare e sostenibile è centrale per l’affermazione di cambiamenti epocali nelle aree legate all’agroalimentare, tra cui la scienza del microbioma, la ricerca di proteine alternative a quelle animali, i biopesticidi, la gestione circolare dei rifiuti e il ripristino degli ecosistemi terrestri” ricordano i vertici FAO.

2. Lotta alle contaminazioni da plastica

Che il problema dell’inquinamento da materiali plastici sia endemico non è una novità. Ma l’attenzione delle organizzazioni ambientaliste, dei media, dell’opinione pubblica e dei decisori politici si è concentrata più sugli ambienti marini che su quelli terrestri. Ovviamente, anche in quel caso, la situazione è drammatica (e le isole di plastica grandi 5 volte la Francia che galleggiano nell’Atlantico e nel Pacifico sono a ricordarcelo).

Quello che però molti non sanno è che sulla terraferma – e in particolare sui terreni agricoli – la situazione è, se possibile, anche peggiore. È stata la stessa FAO a ricordarlo pochi mesi fa.

Secondo i dati raccolti dagli esperti dell’agenzia, le filiere agricole utilizzano ogni anno 12,5 milioni di tonnellate di prodotti in plastica. Altre 37,3 milioni di tonnellate vengono utilizzate negli imballaggi alimentari. I maggiori utilizzatori sono rappresentati dai diversi segmenti della produzione agricola e dell’allevamento, con 10,2 milioni di tonnellate all’anno complessive. Seguono pesca e acquacoltura con 2,1 milioni di tonnellate e silvicoltura con 200mila tonnellate.

Investire nelle soluzioni alternative alla plastica

Nel mirino sono finite le tante applicazioni plastiche utilizzate in ambito agricolo. Teli per la pacciamatura e per racchiudere le balle di fieno, sacchi per il concime, vaschette per i bulbi, tubi per l’irrigazione, coperture per le serre, fascette per legare le piante, bottiglie di fitofarmaci, reti di protezione. Magari utili nell’immediato ma insostenibili per l’ambiente.

Non a caso la FAO sottolinea l’esigenza di studiare soluzioni alternative per abbatterne l’uso. Le soluzioni suggerite si basano sull’approccio delle 6R Rifiutare, Riprogettare, Ridurre, Riutilizzare, Riciclare e Recuperare), identificando anche i prodotti di plastica agricoli potenzialmente dannosi che dovrebbero essere ritirati in via prioritaria, come i fertilizzanti rivestiti di polimeri non biodegradabili e i teli pacciamanti. Che peraltro, possono essere agevolmente sostituiti da omologhi in biomateriali compostabili il cui impatto sui suoli è decisamente inferiore.

Stima delle quantità annue di plastica utilizzata nei terreni agricoli mondiali divise per tipologie di prodotto. FONTE: Assessment of Agricultural plastics and their sustainability. FAO, 2021

Stima delle quantità annue di plastica utilizzata nei terreni agricoli mondiali divise per tipologie di prodotto. FONTE: Assessment of Agricultural plastics and their sustainability. FAO, 2021

3. Tutela ambientale e sociale

Solo nel 2021, la FAO ha esaminato 667 dei suoi progetti sulla base di linee guida di gestione ambientale e sociale, che trovano un equilibrio tra la protezione e l’utilizzo sostenibile delle risorse naturali e la soddisfazione dei crescenti bisogni della società in termini di cibo, nutrizione e mezzi di sussistenza dignitosi e resilienti.

Un approccio che è anche un monito verso l’esterno. La riduzione degli impatti del settore agrifood infatti non può avvenire senza la tutela a livello sociale, partendo ovviamente dalle popolazioni locali. I loro diritti infatti sono costantemente messi in pericolo. Il fenomeno del land grabbing (ovvero l’accaparramento della terra da parte dei grandi operatori di mercato) riguarda ad esempio 79 milioni di ettari di suoli fertili nel mondo. Un’estensione pari a due volte e mezzo l’Italia. Le conseguenze sono sia di tipo ambientale (per la deforestazione, le attività minerarie e l’agricoltura intensiva). Ma allo stesso tempo sociali, a danno delle comunità di contadini locali e popoli indigeni.

4. Open data ambientali e climatici

Lo sviluppo delle tecnologie digitali al servizio dell’agricoltura e degli amministratori locali è essenziale per avere sistemi agroalimentari più resilienti. Permettono infatti di risparmiare risorse, monitorare con maggiore precisione i terreni e identificare le azioni più urgenti da attuare. In tal senso, la FAO ha sviluppato la piattaforma geospaziale Hand-in-Hand che fornisce un tesoro di dati ambientali relativi all’agroecologia, all’acqua, alla terra, al suolo, ai gas serra e a molti altri ambiti.

“Questi dati – ricordano gli esperti FAO – sono fondamentali per identificare i punti critici per il clima e altri rischi ambientali e per progettare soluzioni su misura per i paesi e le regioni più bisognosi”. L’organismo Onu lancerà presto anche uno strumento per i rischi climatici per rafforzare la resilienza fornendo 65 livelli di dati ad accesso aperto per garantire che tutte le parti interessate dell’agroalimentare possano identificare e affrontare pienamente i rischi climatici.

5. Conservazione del patrimonio agricolo e degli ambienti circostanti

Lo straordinario patrimonio di biodiversità a livello agricolo non è solo un vezzo da ambientalisti. Da esso dipende la possibilità di garantire le rese agricole e la sicurezza alimentare di una popolazione mondiale in costante crescita. Ogni territorio ha le sue caratteristiche, alle quali meglio si adattano determinate specie di piante e razze di animali.

La FAO ricorda ad esempio che, da ormai 20 anni, ha creato una lista di siti in tutto il mondo che combinano paesaggi straordinari con la conoscenza tradizionale della gestione resiliente e sostenibile del territorio e delle risorse naturali. Dal sistema riso-pesce-anatra in Cina e all’agricoltura andina in Perù all’agroforestazione sulle pendici del monte Kilimangiaro, in Tanzania e ai vigneti tradizionali di Soave in Italia. Questi siti, noti come Globally Important Agricultural Heritage Systems (GIAHS), fungono da interfaccia tra l’uomo e l’ambiente, incarnando l’idea di “conservazione dinamica”, dove pratiche tradizionali, fornitura di cibo e protezione ambientale vanno di pari passo. Attualmente ci sono oltre 60 siti GIAHS in oltre 22 Paesi in tutto il mondo.