7 Novembre 2022

Non adatti alla produzione alimentare, ma perfetti per produrre biomasse a scopo energetico: così i suoli marginali possono diventare uno strumento per ridurre l’importazione di materie prime, il consumo di fonti fossili e garantire numerosi servizi ecosistemici

di Massimo Fagnano *

 

La crescente esigenza di ridurre le importazioni di materiali energetici e materie prime per il progressivo aumento dei costi, e di limitare il consumo di fonti fossili per mitigare i cambiamenti climatici, sta spingendo molte imprese a rivolgersi alla produzione locale di biomasse ligno-cellulosiche ed oleaginose. Questo sta determinando un progressivo aumento della domanda di suoli coltivabili, che potrebbero essere sottratti alla tradizionale produzione di cibo, mettendo a rischio la sicurezza alimentare delle popolazioni.

Per ridurre questo rischio, l’Unione europea ha avviato delle iniziative per ridurre il rischio che lo sviluppo di biocombustibili possa determinare cambianti anche indiretti degli usi del suolo (es. High and low Indirect Land-Use Change (ILUC) – risks biofuels, bioliquids and biomass fuels). In questo quadro, l’utilizzo di suoli marginali, non idonei alle produzioni alimentari, per la produzione di biomasse ad uso energetico potrebbe rappresentare una soluzione “win-win”.

In particolare, l’uso di suoli degradati e/o contaminati per la produzione di biomasse, all’interno di progetti di fitorisanamento, potrebbe determinare ulteriori vantaggi per i servizi ecosistemici: riduzione dei rischi dei contaminanti per la salute dell’uomo e dell’ambiente, stoccaggio del carbonio nel suolo, miglioramento del paesaggio, aumento della biodiversità.

La mappa dei siti di interesse nazionali e regionali in attesa di bonifica. FONTE: ISPRA.

La mappa dei siti di interesse nazionali e regionali in attesa di bonifica. FONTE: ISPRA.

Fitorisanamento e ripristino ambientale

Il termine fitorisanamento si riferisce a diverse tecniche che dipendono dal tipo e dal livello della situazione di degrado o di contaminazione che a loro volta influenzano la qualità delle biomasse prodotte e quindi la loro utilizzabilità come materia prima in processi di produzione di biomateriali o bioenergia. Si parla più propriamente di Rispristino ambientale, quando un terreno è degradato fisicamente ma non presenta un contenuto di contaminanti pericoloso per la salute e per l’ambiente. È questo il caso dei siti di stoccaggio dei rifiuti, ex-campi ROM, terreni incolti abbandonati. In questi casi spesso il suolo è compattato e destrutturato, tanto da non consentire una regolare crescita della maggior parte delle specie utilizzabili.

Le esperienze fatte nell’ambito del progetto Europeo Life Ecoremed hanno permesso di identificare la canna comune (Arundo donax), come la specie più adattabile a livelli di degrado fisico dei suoli, in grado di produrre grandi quantità di biomassa ligno-cellulosica anche in condizioni di bassissima fertilità (Fig. 1). In questo caso le biomasse non saranno contaminate e quindi non ci saranno limitazioni nella loro conversione in biopolimeri o bioenergia. Anche il ricino è risultato molto resistente agli stress ambientali ed è in grado di produrre interessanti quantitativi di olio utilizzabile per la chimica verde o per la produzione di biodiesel.

Fitostabilizzazione

Si parla invece di Messa in sicurezza (fitostabilizzazione) quando il livello di contaminanti è talmente alto da non rendere realizzabile la loro eliminazione dal suolo oppure quando i contaminanti non sono biodisponibili e quindi sono in una forma chimica che non viene assorbita dalle radici delle piante. Pertanto l’obiettivo di questi impianti è impedire il movimento dei contaminanti verso altri compartimenti ambientali (aria ed acque) e da lì verso l’uomo.

È questo il caso di suoli contaminati da idrocarburi, diossine oppure da piombo in forma metallica come capita ad esempio nei poligoni di tiro dismessi. La vegetazione deve essere assolutamente poliennale e i tappeti erbosi, formati con miscuglio di specie microterme (es. Lolium, Festuca e Poa spp.) e macroterme (es. Cynodon dactylon, Paspalum vaginatum) garantisce la copertura del suolo 12 mesi all’anno.

Inoltre, per ridurre la velocità del vento al suolo e quindi la possibilità di ri-sospensione delle particelle di terreno contaminato, filari fitti di alberi (es. pioppo, eucaliptus, salici) si sono dimostrati molto efficaci e in grado di fornire biomasse ligno-cellulosiche anche in questo caso non contaminate ed utilizzabili senza limitazioni per la valorizzazione energetica o per la chimica verde. Per la messa in sicurezza potrebbero essere usate anche altre specie poliennali che garantiscono una buona copertura del suolo, come la già citata canna comune, oppure il cardo che fornisce anche un buon quantitativo di olio dai semi.

Bonifica

Il temine Bonifica invece si riferisce alle tecniche di assorbimento (fitoestrazione) radicale, accumulo nella biomassa ed eliminazione della frazione biodisponibile degli elementi potenzialmente tossici (EPT) mediante la raccolta e lo smaltimento o la valorizzazione energetica delle biomasse prodotte. Le specie più adatte sono ligno-cellulosiche (es. pioppo, salice, eucaliptus) oppure oleaginose (cardo, ricino). Le biomasse lignocellulosiche degli impianti di fitoestrazione possono avere un contenuto in EPT che ne limita l’utilizzabilità. Non ci sono limitazioni per l’uso come legname da opera, mentre per la conversione energetica, solo la pirolisi lenta è stata in grado di accumulare gli EPT nella frazione solida, limitandone così la dispersione nell’ambiente. Gli oli prodotti dai semi possono essere utilizzati senza limitazioni per la chimica verde o per il biodiesel, dato che non è stato segnalato un accumulo di EPT nei semi.

 

* L’autore

Massimo Fagnano è professore di Agronomia e Agroecologia presso il Dipartimento di Scienze Agrarie dell’Università di Napoli Federico II. Le sue attività scientifiche comprendono la gestione
della fertilità dei suoli, le colture non food, le relazioni tra inquinamento ambientale e agricoltura con riferimento alla phytoremediation per mettere in sicurezza (ex.: phytostabilization,
phytocapping) o recuperare (phytoextraction, rizodegradation) suoli contaminati da minerali o inquinanti organici. Ha lavorato e lavora come PI in numerosi progetti e laboratori (pots), progetti
pilota (mesocosms) e progetti in campo. Al momento sta lavorando a progetti di ricerca sulla phytoremediation di suoli contaminati.