La fermentazione solida trasforma il pane di scarto in nuovo cibo proteico
Gli studiosi dell’Università di Aberystwyth hanno proposto una soluzione circolare per il recupero del pane scartato ma ancora commestibile. Con la fermentazione cresce il contenuto nutrizionale
di Matteo Cavallito
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Ogni anno, nel mondo, milioni di tonnellate di pane ancora perfettamente commestibile vengono gettate via senza alcuna iniziativa di recupero. Uno spreco significativo che contribuisce alla crescita dell’impatto complessivo della produzione alimentare sul Pianeta. Di recente, però, alcuni ricercatori dell’Università di Aberystwyth, in Galles, hanno proposto una particolare soluzione circolare: riutilizzare gli scarti per produrre cibo proteico vegetale.
Un processo, spiegano, che si baserebbe su un peculiare sistema utilizzato da sempre in Asia nella cucina tradizionale: la cosiddetta fermentazione allo stato solido. Ovvero quel processo di coltivazione nel quale i microrganismi crescono su materiali solidi in assenza di liquidi liberi.
Nel mondo il 10% del pane viene sprecato
“Il grano è una delle colture più consumate al mondo e rappresenta il 20% delle calorie e delle proteine della nostra dieta”, hanno osservato i ricercatori in un articolo pubblicato dal network australiano The Conversation e ripreso dallo stesso ateneo britannico. Secondo la FAO, aggiungono, “Ogni anno, a livello mondiale, si producono circa 760 milioni di tonnellate di farina di frumento, gran parte delle quali destinate alla preparazione del pane”. Uno sforzo produttivo enorme non privo di conseguenze.
Uno studio dell’Università di Sheffield, infatti, ha ricordato come la coltivazione del grano, che si accompagna spesso all’uso di fertilizzanti, sia responsabile da sola del 40% circa delle emissioni di gas serra associate alla produzione di pane. Un’altra ricerca britannica, pubblicata sulla rivista Sustainable Energy & Fuels, stima che il 10% dei 185 milioni di tonnellate di pane prodotte ogni anno nel mondo venga sprecato. Con evidenti ricadute ambientali.
L’esperimento
Il fatto, però, è che buona parte di questo pane non consumato è ancora pienamente commestibile. E, come tale, può essere valorizzato con la fermentazione. Per verificare questa possibilità gli autori hanno sottoposto a questo processo un certo quantitativo di prodotto con l’aggiunta di loglio (Lolium perenne), una graminacea proveniente dall’Asia presente in un appezzamento sperimentale della stessa università gallese.
“Le croste di pane in eccesso hanno la capacità strutturale di fungere da impalcatura per la fermentazione allo stato solido con la possibilità di far crescere il loro valore nutrizionale in combinazione con il loglio perenne, una materia prima per la bioraffinazione con proteine di alta qualità ma con un profilo sensoriale sgradevole”, spiega lo studio pubblicato sulla rivista Science of Food. “Abbiamo quindi studiato la fermentazione realizzata con l’impiego del fungo Rhizopus oligosporus su questi substrati”. Le operazioni, che si sono svolte nello spazio di 72 ore, hanno dato un esito incoraggiante.
Con la fermentazione cresce il contenuto nutrizionale
Nel corso dell’esperimento, prosegue lo studio, “il contenuto di amido è diminuito fino a un massimo dell’89,6%, quello di aminoacidi totali è aumentato del 141,9% mentre la presenza di aminoacidi essenziali è cresciuta del 54,5%”. Lo studio, insomma, “ha dimostrato come questo processo possa potenzialmente valorizzare le croste di pane e il loglio, entrambi supporti per la produzione di proteine alternative ampiamente disponibili ma poco esplorati”.
Le implicazioni sono significative. “A lungo termine, questo approccio innovativo potrebbe svolgere un ruolo importante nel migliorare la sicurezza e la sostenibilità alimentare globale”, scrivono gli autori.
Il processo di fermentazione, in particolare, consente di ridurre i rifiuti inviati alle discariche e le emissioni di gas serra. In linea con i principi dell’economia circolare, inoltre, il riutilizzo del pane in eccesso, permette di produrre proteine vegetali non convenzionali da inserire nella catena alimentare sfruttando al meglio le risorse disponibili. Un vantaggio decisivo nello scenario di una popolazione globale in crescita e destinata, secondo le stime delle Nazioni Unite, a superare gli 11 miliardi di individui entro la fine del secolo.

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