I ricercatori hanno evidenziato come le croste biologiche di superficie proteggano i microorganismi del sottosuolo favorendone l’aumento di diversità e di stabilità a beneficio del terreno stesso
di Matteo Cavallito
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Diffuse nelle distese aride o semi-aride, le croste biologiche del suolo sono una risorsa naturale particolarmente preziosa. Decisivo è infatti il ruolo dei suoi ospiti, ovvero funghi, licheni e microbi. Sono proprio queste comunità di microorganismi a mantenere la funzione degli ecosistemi. Ma le dinamiche che le caratterizzano sono ancora poco chiare.
A svelare parte di questi meccanismi è un recente studio dell’Accademia cinese delle scienze che ha sequenziato i processi di rispristino a lungo termine nel margine sud-orientale del deserto di Tengger. I ricercatori, guidati dallo scienziato dell’Istituto nord-occidentale dell’ecoambiente e delle risorse della stessa Accademia, Li Xinrong, hanno evidenziato i fattori che determinano i cambiamenti nelle comunità batteriche del sottosuolo. E l’influenza assunta su di esse dalle croste che le sovrastano.
Le croste biologiche sono un nodo cruciale tra suolo e atmosfera
“Le croste biologiche coprono circa il 30% della superficie globale delle terre aride, costituendo un’interfaccia cruciale tra atmosfera e suolo”, si legge nello studio pubblicato sulla rivista Plant and Soil. “I batteri che le popolano partecipano a quasi tutti i processi del ciclo biogeochimico che possono alterare profondamente la multifunzionalità del suolo e dell’ecosistema e accelerare il ripristino degli ecosistemi”.
I ricercatori, precisa una nota dell’Accademia cinese delle Scienze, hanno condotto analisi a livello molecolare per rivelare le relazioni tra la diversità, la complessità e la stabilità delle comunità batteriche del terreno e i cambiamenti rilevati sia nella crosta che negli strati del sottosuolo. In entrambi i livelli – ha evidenziato lo studio – la diversità e la dissomiglianza batterica sono aumentate con il ripristino della vegetazione nel tempo, con un impatto positivo sulla qualità e sulle funzioni del suolo.
Lo studio
Analizzando le successioni degli strati e dei relativi batteri, licheni e muschi su un periodo di 65 anni, gli studiosi hanno osservato le variazioni nella diversità dei microorganismi in superficie e in profondità. “In particolare, le proprietà della rete batterica del sottosuolo, compresi i nodi, i collegamenti e il loro numero medio per nodo, il coefficiente medio di raggruppamento, la connettività e la modularità relativa, sono risultate significativamente superiori a quelle della crosta nella successione più avanzata”.
L’indagine ha dimostrato quindi la capacità della crosta di influenzare le caratteristiche della comunità batterica del sottosuolo.
Gli scienziati hanno scoperto “che la successione, le condizioni fisico-chimiche del suolo e l’insieme dei microorganismi della crosta sono stati i più potenti fattori diretti che hanno determinato la composizione della comunità batterica in profondità”. Inoltre, “le comunità vegetali e microbiche della superficie hanno influenzato direttamente la complessità della rete e la stabilità dei batteri stessi al di sotto del terreno”.
Il mondo rischia di perdere fino al 40% delle sue croste
A emergere, insomma, è l’importanza delle croste biologiche nel proteggere i microorganismi del sottosuolo favorendone l’aumento di diversità e di stabilità a beneficio del terreno stesso. Alla luce di tutto questo, assume così un peso ancora più rilevante la diffusa preoccupazione sullo stato di salute di questi peculiari strati superficiali di terreno. Che, nel Pianeta, appaiono in pericolo.
All’inizio dello scorso anno, una ricerca dello U.S. Geological Survey ha evidenziato come il cambiamento climatico stia impattando sulle croste stesse.
Analizzando alcune aree superficiali nelle distese del Canyonlands National Park, nello Utah, gli scienziati hanno registrato il drastico calo della presenza dei licheni, un fenomeno legato all’aumento delle temperature che mette a rischio la sopravvivenza della crosta. In assenza di strategie globali di mitigazione climatica, concludevano gli autori, il mondo rischia di perdere dal 25% al 40% delle sue croste entro il 2070.