26 Maggio 2022

Sono decisive per la sopravvivenza del suolo e del suo ecosistema. Ma il cambiamento climatico rischia di spazzarle via. L’allarme contenuto in uno studio americano

di Matteo Cavallito

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Si chiamano “croste biologiche del suolo”, sono tipiche delle distese aride o semi-aride e sono una risorsa naturale preziosa quanto sottovalutata. Merito del sorprendente ecosistema ospitato: un mondo vario che comprende funghi, licheni e soprattutto microbi. Sono questi ultimi, come noto, a contribuire in modo decisivo all’equilibrio del suolo anche attraverso la produzione di nutrienti come carbonio e composti azotati. Elementi essenziali, a loro volta, per lo sviluppo e la conservazione della vita.

Il problema, però, è che anche questi ambienti – che coprono il 12% delle terre emerse – non sono immuni dal cambiamento climatico. Al punto che ad essere messa in discussione, dati alla mano, è addirittura la loro stessa sopravvivenza nel lungo periodo. Come suggeriscono i risultati di una recente ricerca realizzata da un’équipe dello U.S. Geological Survey.

Il suolo osservato ha perso quasi tre quarti dei licheni

Il lavoro nasce da un’indagine avviata addirittura nel 1996 e condotta nelle distese del Canyonlands National Park, nello Utah, con l’obiettivo di monitorare la diffusione di una particolare pianta, il forasacco dei tetti (Bromus tectorum), e i suoi effetti sul suolo, ricorda la rivista Science. Nel corso della ricerca, tuttavia, gli scienziati hanno fatto una scoperta inattesa: i licheni, specialmente quelli capaci di fornire azoto ai terreni, stavano sparendo.

Queste specie, che a metà degli anni ’90 coprivano il 19% delle croste biologiche locali, si estendevano ora su non oltre il 5% della superficie.

“I risultati suggeriscono che il cambiamento climatico potrebbe annullare in parte gli effetti di decenni di prevenzione dalle perturbazioni, con l’ecosistema della crosta biologica giunto a un punto di svolta”, spiegano gli autori. Questa diffusa sparizione dei licheni, aggiungono, “potrebbe avere implicazioni a lungo termine per gli ecosistemi globali delle terre aride temperate”.

La crosta biologica rischia di sparire

Tra le conseguenze emerge in particolare la crescente fragilità del suolo. Quando le croste biologiche scompaiono, ricorda Science, i terreni diventano più aridi e rischiano di essere spazzati via dall’erosione. Se la copertura resiste ma i licheni muoiono, la minore disponibilità di azoto impatterà sulla vita dell’ecosistema e del microbioma. E non è tutto: le stesse croste agiscono infatti come tappo per la terra impedendone la dispersione nell’aria.

Secondo le stime, le coperture del terreno sono in grado da sole di prevenire il 60% delle emissioni potenziali di polvere: 700 milioni di tonnellate.

Il degrado delle croste, come detto, non interessa solo il territorio osservato. Secondo gli scienziati USA, infatti, il mondo rischia di perdere dal 25% al 40%  di queste superfici entro il 2070.

La soluzione? Contrastare il cambiamento climatico

Negli ultimi anni, ricorda Science, i ricercatori hanno iniziato a testare alcuni possibili rimedi come la coltivazione delle specie vegetali che caratterizzano le croste e il successivo trapianto delle medesime nei terreni più critici. Sempre secondo la rivista queste tecniche avrebbero dato buoni risultati per le alghe e il muschio, ma si sarebbero rivelate scarsamente efficaci per i licheni.

Di conseguenza, concludono gli scienziati, l’unica strategia efficace per il contrasto al fenomeno è data da un’azione globale per la mitigazione del clima. Solo la piena transizione ecologica, ovvero energetica, in altre parole, consentirà di preservare le croste e il loro ecosistema. E, con esso, la salute del suolo nelle aree a rischio.