20 Gennaio 2023

A scoprirlo uno studio italiano condotto dall’università di Salerno. I frammenti individuati sono stati identificati come polipropilene, polietilene, polivinil cloruro e polivinil acetato. L’ennesima conferma della pandemicità delle contaminazioni da microplastiche

di Emanuele Isonio

 

È stata la prima ricerca al mondo di biomonitoraggio in aree ad alto rischio ecologico, ideata per individuare la presenza di contaminanti ambientali e i loro effetti sulla salute umana. In particolare, ha permesso di analizzare campioni di urine di sei donatori sani – uomini e donne tra i 16 e i 35 anni – con indici antropometrici nella media provenienti da zone diverse della Campania: provincia di Salerno e area Nord di Napoli. L’obiettivo era cercare l’eventuale presenza di microplastiche. L’esito delle analisi ha confermato quanto sia ormai diffusa oltre ogni immaginazione l’inquinamento causasto da questo tipo di materiali. Sono stati infatti identificati 7 frammenti polimerici: due in campioni femminili, gli altri in quelli maschili. Le particelle hanno dimensioni tra i 4 e i 15 millesimi di millimetro (micron). Grandi quindi come un batterio o un granellino di pulviscolo.

Uno studio tutto italiano

Lo studio, recentemente pubblicato sulla rivista internazionale Toxics, è tutto italiano. È infatti nato dalla collaborazione tra il gruppo di ricerca coordinato dalla professoressa Oriana Motta del Dipartimento di Medicina dell’Università di Salerno, il coordinatore del progetto EcoFoodFertility e presidente della Società italiana di Riproduzione umana, Luigi Montano e il gruppo di ricerca della professoressa Elisabetta Giorgini dell’Università Politecnica delle Marche.

Per eliminare il dubbio di ogni possibile contaminazione esterna è stato sviluppato un rigido protocollo plastic free. I campioni di urine, ad esempio, sono stati raccolti in speciali contenitori di vetro e sono state sviluppate specifiche procedure tecniche di laboratorio. Le microparticelle di plastiche nelle urine sono state poi individuate attraverso la Microspettroscopia Raman. Già in precedenza questa sofisticata strumentazione aveva permesso di individuare per la prima volta microplastiche nella placenta umana e nel latte materno.

Da dove arrivano queste microplastiche?

Tutti i frammenti sono stati identificati chimicamente come polipropilene, polietilene, polivinil cloruro e polivinil acetato. Ovvero i materiali polimerici più comunemente utilizzati. Ma qual è l’origine di questi frammenti? Molte le possibili fonti, che comprendono ovviamente cibi e bevande ma anche cosmetici, detergenti, dentifrici, creme per il viso e il corpo, adesivi. “Ma non sono escluse nemmeno particelle aerodisperse nell’ambiente. L’ingresso nell’organismo umano può quindi avvenire sia attraverso l’alimentazione per via gastrointestinale ma anche tramite l’apparato respiratorio e la via cutanea” spiega Motta.

“L’escrezione nelle urine – aggiunge invece Montano – più che dipendere dal passaggio per via glomerulare, troppo selettiva per queste dimensioni, potrebbe avvenire per via peritubulare renale attraverso meccanismi cosiddetti di endocitosi ed esocitosi, sistemi che utilizzano le cellule per inglobare grosse particelle e trasportarle da una parte all’altra”.

Gli effetti sul corpo umano

Ovviamente, commentano gli autori, si stanno indagando altre matrici umane insospettabili che, se confermate negli esperimenti in corso, rappresenterebbero una conferma di quanto la contaminazione della plastica, che oramai sembra una costante in particolare nel sistema gastrointestinale di specie aquatiche, sia da considerare un’emergenza da affrontare nell’immediato.

Diversi, infatti, sono gli studi che indicano come il nostro organismo reagisca alla presenza di corpi esterni e di come la plastica alteri alcuni processi metabolici. D’altronde, le stesse microplastiche fanno da vettori per altri tipi di contaminanti ambientali che legandosi ad esse procurano ulteriori danni all’interno del nostro organismo a partire proprio dagli organi riproduttivi, particolarmente sensibili agli inquinanti chimici, conclude Montano.

Il progetto EcoFoodFertility

La scoperta della presenza di microplastiche nelle urine è solo uno dei risultati cui cerca di dare risposte EcoFoodFertility. Il progetto è nato inizialmente in Campania al fine di individuare un nesso su base scientifica fra i preoccupanti tassi di inquinamento ambientale nelle provincie a Nord di Napoli e basso casertano (Terra dei Fuochi) e il preoccupante incremento di patologie cronico-degenerative registratosi negli ultimi decenni e per indicare strategie di prevenzione per danni futuri. Ma oggi i suoi confini geografici si sono allargati, coinvolgendo diverse aree d’Italia e d’Europa.

Per il suo approccio integrato di valutazione diretta dei contaminanti nei fluidi biologici e dei loro effetti, in particolare, sul liquido seminale, considerato precoce e affidabile sentinella della Salute Ambientale e della Salute generale, ha rapidamente coinvolto ricercatori di importanti istituzioni di ricerca, a partire dal CNR e dall’Istituto Superiore di Sanità.