31 Marzo 2023

La scoperta grazie a una tesi di dottorato all’università Umass Amherst. Per calcolare la velocità di erosione, un team di ricercatori ha quantificato la presenza di un elemento raro – il Berillio 10 – in praterie coltivate in 5 Stati USA, confrontandole con terreni vergini

di Emanuele Isonio

 

Tutto parte da una tesi di una dottoranda del Dipartimento di Geoscienze della University of Massachussets Amherst, il più grande ateneo pubblico del New England. Dalle sue intuizioni è poi stato sviluppato uno studio che ha visto coinvolti diversi ricercatori del medesimo istituto e che potrebbe rappresentare una pietra miliare nella consapevolezza della velocità con cui l’uomo sta degradando i terreni mondiali.

Cinque Stati coinvolti nello studio

La ricerca – sostenuta economicamente dall’agenzia governativa National Science Foundation (NSF) e pubblicato sulla rivista Geology  – si è concentrata sulla velocità di erosione dei suoli agricoli in cinque stati del Midwest americano: Iowa, Minnesota, South Dakota, Nebraska e Kansas. Obiettivo: capire se e in che quantità l’attività agricola ha reso più veloce il tasso di erosione dei suoli rispetto al passato.

“Questa ricerca affronta importanti questioni scientifiche sull’evoluzione del paesaggio”, spiega Justin Lawrence, direttore di programma presso la Divisione di Scienze della Terra della NSF. “Le conoscenze acquisite potrebbero portare a pratiche agricole più sostenibili“.

Il Berillio-10 come indizio

Per riuscire nel compito, lo studio ha sfruttato il Berillio-10 (10Be). Un elemento molto raro, che si forma quando le stelle della Via Lattea, esplodendo, inviano particelle ad alta energia, i cosiddetti raggi cosmici. Tali raggi, lanciandosi verso la Terra e schiantandosi sulla crosta terrestre, dividono l’ossigeno nel suolo, lasciando minuscole tracce di Berillio-10. Questi residui, una volta finiti nello strato superiore del terreno, possono quindi essere utilizzati, grazie alla loro emivita, per determinare con accuratezza i tassi medi di erosione nell’arco di migliaia o anche milioni di anni.

Per misurare le quantità presenti del Berillio-10 i ricercatori hanno individuato delle porzioni di territorio mai intaccate dall’agricoltura moderna. “Siamo andati in 14 piccoli appezzamenti di prateria nativa ancora esistenti in ciascuno dei cinque Stati coinvolti dalla nostra indagine. Attraverso una trivella a mano abbiamo raccogliere carote di suolo profondo, un materiale che risale all’ultima era glaciale”, spiega Isaac Larsen, geoscienziato dell’Università del Massachusetts Amherst e autore senior della pubblicazione. “Abbiamo riportato questo terreno al nostro laboratorio, l’abbiamo setacciato per isolare i singoli granelli di sabbia, rimosso tutto ciò che non era quarzo, e poi abbiamo avviato un processo di purificazione chimica per separare il Berillio-10”.

Caroline Quarrier (a destra) e Brendon Quirk (a sinistra), ricercatori dell'Umass Amherst University si preparano a estrarre un campione di terreno da Stinson Prairie, Iowa. FOTO: Umass Amherst University.

Caroline Quarrier (a destra) e Brendon Quirk (a sinistra), ricercatori dell’Umass Amherst University si preparano a estrarre un campione di terreno da Stinson Prairie, Iowa. FOTO: Umass Amherst University.

Nemmeno le linee guida federali sono sufficienti

I risultati hanno stupito gli stessi autori della ricerca: prima dell’arrivo dell’agricoltura moderna, i tassi medi di erosione nelle praterie Usa erano di circa 0,04 millimetri all’anno. Un dato che risale indietro nel tempo fino all’ultima era glaciale, circa 12.000 anni fa. Oggi la situazione è decisamente cambiata. Le misurazioni precedenti, realizzate in campi agricoli adiacenti alle praterie vergini studiate durante questa indagine, mostrano che le aree coltivate sono sottoposte a tassi di erosione fino a mille volte maggiori. In circa 160 anni di agricoltura moderna, sono state perse non meno di 57,6 miliardi di tonnellate di terreno superficiale.

Ma lo studio dei ricercatori dell’Umass Amherst chiarisce anche un altro punto: la velocità normale di erosione in epoca premoderna è più lenta di 25 volte anche rispetto alla perdita di suolo che il Dipartimento dell’Agricoltura USA indica sostenibile nelle sue linee guida per la gestione del suolo. L’USDA infatti ritiene “tollerabile” un millimetro di erosione ogni anno. In poche parole: anche se fossero tutte applicate su larga scala, le buone pratiche di coltivazione non riporterebbero i tassi di erosione a quelli registrati fino a inizio Ottocento.

La dottoranda Caroline Quarrier nel laboratorio dell'Università Umass durante uno degli esperimenti sulla velocità di erosione del suolo USA. FOTO: Umass Amherst University

La dottoranda Caroline Quarrier nel laboratorio dell’Università Umass durante uno degli esperimenti sulla velocità di erosione del suolo USA. FOTO: Umass Amherst University

Costi sociali miliardari

Il rapido deterioramento dei terreni del Midwest statunitense non è solo una preoccupante minaccia ambientale, che mette a rischio preziosi ecosistemi e contribuisce ad aumentare i gas serra in atmosfera. In gioco c’è anche la produzione agricola americana. Un calcolo, effettuato un paio d’anni fa dalla Fondazione Rockfeller sui “veri costi del sistema cibo” negli USA, ha inserito l’erosione dei terreni agricoli tra le conseguenze dell’agricoltura moderna. Il costo, solo per questa voce, si aggira attorno a 67 miliardi di dollari all’anno: poco meno dell’8% dei quasi $900 miliardi di costi ambientali non contabilizzati, causati dal sistema agroalimentare su ambiente e biodiversità.

I costi ambientali annuali causati dal sistema agroalimentare USA. FONTE: Rockfeller Foundation, 2021.