Uno studio internazionale evidenzia come, a un metro di profondità, il suolo ceda oltre un terzo del suo carbonio pirogenico dopo aver subito un aumento di temperatura di 4°C in meno di un quinquennio
di Matteo Cavallito
Il suolo è una risorsa preziosissima per lo stoccaggio del carbonio. Ma lo stress generato dal cambiamento climatico rende il terreno stesso particolarmente vulnerabile riducendone la capacità di conservazione dell’elemento. Lo evidenzia un recente studio che ha coinvolti alcuni ricercatori del Lawrence Berkeley National Laboratory, in California, e dell’Università di Zurigo.
“Il nostro lavoro dimostra che i cambiamenti climatici influenzeranno tutti gli aspetti del ciclo del carbonio e dei nutrienti nel suolo. Ed evidenzia, inoltre, che, per quanto riguarda il sequestro del carbonio, non esiste alcuna formula magica”, ha spiegato Margaret Torn, ricercatrice del Berkeley Lab e principale autrice dell’indagine in una nota diffusa dall’ateneo statunitense. “Se vogliamo che il suolo sostenga il sequestro di carbonio in un mondo sempre più caldo”, ha aggiunto, “avremo bisogno di buone pratiche che minimizzino la turbativa del terreno nella gestione delle foreste e in agricoltura”.
Prati, pascoli e foreste catturano un quarto della CO2 globale
Il carbonio catturato dalle foreste, dalle praterie e dai pascoli, ricordano i ricercatori, ammonta al 25% circa delle emissioni globali. Determinante il ruolo delle piante che, durante la fotosintesi, immagazzinano l’elemento nelle pareti cellulari e nel suolo. Il carbonio stoccato da quest’ultimo è pari al doppio circa del totale presente nell’atmosfera. Metà del quantitativo conservato nel terreno, infine, si colloca al di sotto dei primi 20 centimetri di profondità.
Il problema è che tra il suolo e il cambiamento climatico si crea un circolo vizioso. Deforestazione e agricoltura, ricorda l’Intergovernmental Panel on Climate Change delle Nazioni Unite, sono responsabili di circa un quinto dei gas serra globali.
Queste emissioni favoriscono il rialzo delle temperature che, a loro volta, portano a un calo significativo delle scorte di carbonio immagazzinate nei terreni. Nel 2021, lo stesso gruppo di ricercatori aveva stimato una perdita del 33% in cinque anni nei suoli forestali. Il nuovo studio evidenzia in modo più dettagliato le dinamiche che portano alla perdita di carbonio organico creato dalle piante durante la fotosintesi.
Lo studio
Nel corso dell’esperimento, condotto presso la University of California’s Blodgett Forest Research Station, in Sierra Nevada, i ricercatori hanno riscaldato di 4 gradi centigradi gli strati di terreno fino a un metro di profondità simulando le condizioni previste per la fine del XXI secolo (+4°C appunto) nel caso di mancata riduzione significativa delle emissioni di gas serra. Ebbene:
“Dopo quattro anni e mezzo di riscaldamento, la concentrazione assoluta di carbonio pirogenico nel sottosuolo (per grammo di suolo) era inferiore del 37% con un margine di errore di 8 punti percentuali”, si legge nella ricerca.
Inoltre, “la lignina, composto derivato dal legno, era inferiore del 17%. Infine, i lipidi idrosolubili erano inferiori del 28%, con un margine di errore di tre punti percentuali, nel confronto con i terreni non riscaldati del gruppo di controllo”. Questi lipidi, precisano i ricercatori, sono tipicamente composti dalla cutina e dalla suberina, i composti presenti nelle foglie, negli steli e nelle radici che proteggono le piante dagli agenti patogeni.

Variazioni della presenza di carbonio pirogenico e di polimeri vegetali a diverse profondità del suolo in risposta al riscaldamento. Le concentrazioni di carbonio pirogenico (a), lignina (b) e lipidi idrolizzabili (c) per grammo di suolo non erano significativamente diverse negli strati superficiali (0-20 cm), ma erano decisamente più basse nei sottosuoli riscaldati rispetto a quelli di controllo (20-90 cm). I valori indicati sono le differenze tra le parcelle riscaldate e quelle di controllo espresse in percentuale (valori negativi in rosso, valori positivi in blu). I quadrati neri mostrano la media (n = 3), mentre i cerchi grigi indicano i singoli punti dati. Le barre rappresentano l’errore standard della media. Fonte: Zosso, C.U., Ofiti, N.O.E., Torn, M.S. et al. Rapid loss of complex polymers and pyrogenic carbon in subsoils under whole-soil warming. Nat. Geosci. 16, 344–348 (2023) Attribution 4.0 International (CC BY 4.0)
Previsti nuovi studi sul carbonio del suolo
Lo studio ha preso in considerazione il carbonio organico del suolo che si origina dalla vegetazione bruciata e da altri resti di materia organica che hanno subito un incendio. Questo elemento del sottosuolo è considerato molto stabile, ovvero poco soggetto alla dispersione che porterebbe a emissioni aggiuntive di CO2.
Esso, conclude lo studio, è tuttavia “vulnerabile alla decomposizione, il che significa che la sua sola struttura molecolare potrebbe non proteggere i composti dal degrado in caso di aumento delle temperature in futuro”.
Gli studiosi hanno fatto sapere di voler campionare nuovamente il suolo oggetto di studio tra altri quattro anni e mezzo per determinare l’impatto di nove anni di riscaldamento sulla composizione e sulla salute del terreno. È previsto inoltre un nuovo esperimento analogo nelle praterie del Point Reyes National Seashore, nella California settentrionale.