Dal 2009 la Costituzione della Bolivia promuove la tutela dei diritti delle popolazioni native e dell’ambiente. Ma lo sfruttamento delle risorse naturali, accusa il network The Conversation, non si ferma e la deforestazione continua ad aumentare
di Matteo Cavallito
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C’è anche la Bolivia nell’elenco dei Paesi sotto osservazione in attesa dell’imminente vertice dell’ACTO, l’Organizzazione per il Trattato di Cooperazione sull’Amazzonia, in programma a Belem, in Brasile, l’8 e il 9 agosto prossimi. L’incontro, che vedrà la partecipazione dei rappresentanti delle otto nazioni che condividono il territorio della foresta, sarà l’occasione per discutere su come attrarre investimenti, combattere il disboscamento, proteggere le comunità indigene e promuovere forme di sviluppo sostenibile. Ma anche, forse, per riflettere sugli eventi che da tempo caratterizzano un Paese che sconta scelte politiche contradittorie nella gestione delle sue risorse naturali. Attirandosi inevitabilmente non poche critiche.
Deforestazione ai massimi storici
La foresta amazzonica copre oltre il 40% del territorio nazionale boliviano. Nell’area risiedono oltre 1,2 milioni di abitanti, molti dei quali appartenenti a 29 diversi popoli indigeni. Un esempio di storia e culture diverse, un manifesto vivente di quel carattere “plurinazionale” ufficialmente riconosciuto dalla nuova Costituzione approvata nel 2009 e concepita, peraltro, con l’intenzione di offrire una solida protezione ai diritti delle popolazioni native e all’ambiente.
Il problema, però, è che i numeri sembrano tradire le promesse. Negli ultimi vent’anni, spiega Global Forest Watch, un progetto dell’organizzazione no profit World Resources Institute di Washington, la Bolivia ha perso il 9% circa della sua foresta pluviale (3,7 milioni di ettari) e il trend è tuttora in crescita.
Nel 2022 il disboscamento ha interessato 386mila ettari, il dato più alto registrato in questo secolo. “L’accelerazione della deforestazione potrebbe sembrare paradossale in un Paese noto nel mondo per il suo impegno a favore dei diritti della Madre Terra”, ha scritto di recente Victor Galaz, vice direttore del Resilience Centre dell’Università di Stoccolma, intervenendo sulle pagine del network australiano The Conversation. “Ma sembra che il governo abbia scelto di dare priorità allo sviluppo economico basato sulle risorse dell’ambiente invece di mantenere la promessa di farsi custode della natura”.
La corsa allo sfruttamento delle risorse
Secondo Galaz, la progressiva distruzione della foresta in Bolivia “è il risultato di una combinazione distruttiva e ben nota: l’aumento della domanda globale di prodotti di base come la soia e il bestiame e le politiche estrattive nazionali e regionali che ambiscono esplicitamente a stimolare la crescita economica con una scarsa considerazione per l’impatto ambientale“. Nel 2020, aggiunge, le coltivazioni di soia, che mezzo secolo prima erano praticamente inesistenti, si estendevano su 1,4 milioni di ettari. 5 milioni è invece la somma degli ettari destinati all’allevamento.
A tutto questo si aggiungono le concessioni minerarie nelle regioni amazzoniche del Paese che, tra il 2015 e il 2021, sono salite da 88 a 341. Nello stesso periodo il numero delle aree destinate all’estrazione è aumentato del 414%.
La rapida espansione dell’estrazione illegale di oro, in particolare, “sta creando enormi problemi sociali e ambientali, nonché gravi minacce alle comunità indigene”. Infine il ruolo dei sussidi alle fonti fossili che favoriscono, di riflesso, lo sviluppo dei settori energivori come agricoltura, allevamento ed estrazione: “Secondo i dati del Fondo Monetario Internazionale riferiti al 2021 – sottolinea il docente – i sussidi ai combustibili fossili sono pari al 6,7% del PIL della Bolivia”. Un dato, va detto, in linea con la media globale.
Siccità e incendi minacciano la Bolivia
La diffusione degli insediamenti illegali nelle pianure, aggiunge ancora Galaz, alimenta cambiamenti economici più ampi, favorendo la conversione delle foreste in terreni agricoli. Sotto accusa, in particolare, è il cosiddetto slash and burn (taglia e brucia), un sistema di gestione agroforestale criticato per i suoi effetti negativi legati a una sempre più ridotta fase di recupero forestale, a tagli troppo ravvicinati e a un eccessivo sfruttamento dei suoli.
In questo contesto, le foreste boliviane fronteggiano oggi a una combinazione di siccità e vasti incendi. Solo nel 2020, questi ultimi hanno interessato 4,5 milioni di ettari, più di 1 milione dei quali in aree protette. Un fenomeno che contribuisce ad aggravare gli effetti climatici della deforestazione. “Di conseguenza – conclude il docente – la Bolivia si è posizionata ai vertici della classifica delle emissioni pro capite, con 25 tonnellate di CO2 equivalenti per persona all’anno, un dato cinque volte superiore alla media mondiale che colloca il Paese davanti a economie molto avanzate come gli Stati Uniti e gli Emirati Arabi”.