Degrado forestale: in Brasile lo stop all’eccesso di pascolo non basta
Lo studio nell’area del Caatinga: l’interruzione del pascolo non è sufficiente a ripristinare la salute del suolo. Per ottenere risultati occorre adottare ulteriori pratiche rigenerative
di Matteo Cavallito
Il blocco del pascolo non è di per sé sufficiente a garantire la rigenerazione del suolo già provato dalla pressione delle attività antropiche. Lo segnala uno studio condotto in Brasile. L’indagine, realizzata da un gruppo di ricercatori provenienti dalle università di Pernanbuco e São Paulo, si è concentrata sull’area del Caatinga, nella parte orientale del Paese. Una delle zone più ricche al mondo, come noto, dal punto di vista della biodiversità.
Lo studio in Brasile
Il pascolo, è bene ricordarlo, non rappresenta di per sé necessariamente un problema. Sfruttando le potenzialità delle interazioni tra mandrie, suolo e ciclo del carbonio, ad esempio, la pratica può assumere in determinate circostanze anche un carattere rigenerativo, favorendo il sequestro del carbonio con un impatto positivo per la salute del terreno e degli animali. Al tempo stesso, tuttavia, una sua gestione troppo intensiva, soprattutto in un bioma semiarido come quello del Caatinga, diventa per contro “la principale causa di degrado del suolo che minaccia gravemente le terre vulnerabili alla desertificazione”, si legge nella ricerca pubblicata sul Journal of Environmental Management.
“Questo studio esamina l’impatto del fenomeno su molteplici indicatori, funzioni e salute complessiva del terreno valutando inoltre se la crescita naturale precoce della foresta dopo l’esclusione delle mandrie migliori le funzioni critiche di quest’ultimo per il ripristino dell’ecosistema”.
Condotto su iniziativa del Observatório Nacional da Dinâmica da Água e do Carbono no Bioma Caatinga di Recife, il progetto di ricerca ha interessato alcune aree situate in tre municipalità della regione semiarida del Pernambuco: Araripina, Sertânia e São Bento do Una. Gli scienziati hanno prelevato campioni di suolo e vegetazione per valutare l’impatto del degrado. E soprattutto i primi segni di ripresa dopo l’interruzione dei pascoli. Ottenendo, per così dire, risultati “deludenti”.
“Nessuna differenza significativa dopo lo stop”
“Abbiamo messo a confronto foreste dense intatte, aree soggette a pascolo intensivo a lungo termine (oltre 30 anni) e foreste giovani (tre anni) recintate lungo un transetto longitudinale nel bioma del Caatinga”, spiegano gli autori. “Sui campioni di suolo prelevati a una profondità di non oltre 20 centimetri sono stati analizzati tredici indicatori fisici, chimici e biologici per una valutazione strutturata della salute del terreno, calcolando punteggi indicizzati in base alle funzioni stesse di quest’ultimo”. In generale, rilevano, la conversione della foresta in zona di pascolo degradato ha comportato una perdita di 14,7 tonnellate di carbonio per ettaro.
Questa stessa transizione, inoltre, ha prodotto un declino del 18% a livello regionale dell’indice di salute del suolo elaborato dagli stessi ricercatori.
Per gli indicatori biologici, come il carbonio della biomassa microbica ad esempio, l’impatto della conversione della foresta è stato ancora più evidente riducendo i loro valori di oltre il 45%. Ma il vero problema è un altro: dopo lo stop imposto al pascolo, spiegano infatti gli scienziati, “tra i pascoli e le foreste aperte non sono state riscontrate differenze significative nelle funzioni o nella salute del suolo”.
L’importanza delle pratiche di rigenerazione
Alla luce di questi risultati, “è emerso chiaramente come il pascolo eccessivo causi un grave degrado della salute del terreno nel Caatinga e come la semplice esclusione degli animali non sia sufficiente a ripristinarne le funzioni a distanza di pochi anni dall’isolamento dell’area”, ha spiegato Wanderlei Bieluczyk, ricercatore dell’Università di São Paulo in un articolo diffuso dall’Agenzia FAPESP, la Fondazione statale per la Ricerca con sede nella stessa città.
Per questo, aggiunge, “il recupero delle aree degradate da una gestione inadeguata delle mandrie, soprattutto a causa della loro pressione, è un processo impegnativo che richiede probabilmente ulteriori strategie”.
Queste in particolare includono il sovescio, una pratica che si basa sulla semina o l’impianto di specie vegetali che, una volta tagliate, possono essere incorporate nel suolo migliorandone la struttura e la fertilità. Utile, spiegano i ricercatori, anche l’impiego di alberi a crescita rapida, in grado cioè di formare una densa chioma in un breve periodo di tempo. In questo modo, le piante proteggono il suolo dall’eccesso di luce creando un ambiente ideale sotto la chioma che favorisce lo sviluppo di specie rigenerative a beneficio del terreno.

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