L’irrigazione dei campi di riso impatta sull’assorbimento dei metalli
Uno studio dell’Università del Delaware evidenzia l’impatto dell’apporto di acqua nel determinare la concentrazione di arsenico e cadmio nelle piante di riso. Ma il meccanismo è complesso e occorre trovare un equilibrio
di Matteo Cavallito
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La gestione corretta dell’apporto idrico nei campi di riso influisce sulla presenza dei metalli pesanti nell’alimento. Lo sostiene una ricerca dell’Università del Delaware pubblicata sulla rivista Environmental Geochemistry and Health. “Più le risaie sono asciutte, minore è la quantità di arsenico e maggiore quella di cadmio”, spiega una nota. “Anche se la concentrazione di quest’ultimo resta comunque inferiore alla soglia di pericolo per la salute”. L’indagine fornisce così un nuovo contributo negli studi sui meccanismi di assimilazione dei metalli che, entrando nel ciclo alimentare, impattano negativamente sulla salute dei consumatori.
Il fattore acqua sulle piante di riso
Nelle colture di riso, che trovano tipicamente spazio in campi sommersi, la diffusione di elementi potenzialmente tossici e il loro assorbimento da parte delle radici possono essere agevolati. Determinante, spiegano i ricercatori, è la perdita di ossigeno che si colloca di norma nei piccoli pori del terreno e si perde molto rapidamente venendo sostituito dall’acqua. Proprio la scarsità dell’elemento impatta sull’azione dei microrganismi del terreno che, nella loro respirazione, iniziano a processare gli ossidi di ferro.
“L’arsenico si attacca molto bene a questi composti”, spiega Angelia Seyfferth, biogeochimica del suolo dell’Università del Delaware e coautrice della ricerca. “Quando gli ossidi di ferro vengono utilizzati da questi organismi per respirare, passano da uno stato solido a una soluzione liquida. In altre parole si dissolvono e così facendo disperdono l’arsenico che a essi si era attaccato nell’acqua”. A quel punto, aggiunge, l’elemento può essere facilmente assorbito dalle radici e trasportato nel chicco.
Impossibile ridurre entrambe le concentrazioni
Per comprendere i meccanismi di assorbimento, i ricercatori hanno coltivato il riso in 18 campi, sottoponendo le risaie a diverse condizioni di inondazione e umidità. “In uno studio sul campo durato 2 anni”, spiega la ricerca, ‘abbiamo adottato 6 modalità di irrigazione che variavano per estensione e frequenza di inondazione e abbiamo osservato forti effetti della gestione irrigua sulla chimica delle acque porose, sulle potenziali ossidoriduzioni del suolo, sulle concentrazioni di arsenico e cadmio e di nutrienti nelle piante e sulle emissioni di metano”.
La gestione dell’irrigazione controlla i cicli biogeochimici nella produzione di riso. In condizioni di risaia allagata, l’arsenico diventa disponibile per le piante in seguito alla riduzione del ferro, mentre le condizioni di ossidazione portano a una maggiore disponibilità di cadmio per le piante nei terreni acidi. In ogni caso, osserva lo studio, “un approccio basato sull’indice di pericolosità (un metodo per valutare i rischi per la salute derivanti dall’esposizione combinata a più sostanze chimiche, ndr) ha mostrato che nel terreno testato con bassi livelli di arsenico e cadmio (5,4 e 0,072 mg/kg, rispettivamente), la gestione dell’irrigazione non riusciva a ridurre simultaneamente le concentrazioni di entrambi gli elementi nei cereali”.
Alla ricerca di un equilibrio
I meccanismi sono piuttosto complessi. Inondando le risaie si favorisce l’assorbimento dell’arsenico e gli organismi del suolo iniziano a emettere metano in atmosfera. Contemporaneamente l’acqua in eccesso riduce il solfato presente nel terreno in solfuro, facendo precipitare il cadmio. Asciugando il terreno, al contrario, l’attività dei microorganismi viene frenata con conseguente riduzione di arsenico e metano.
In quelle condizioni, tuttavia, il solfuro si lega all’ossigeno trasformandosi in solfato e superando la fase solida. In questo modo, il cadmio può fuoriuscire ed essere assorbito dalle piante.
Secondo gli autori, la gestione idrica delle risaie è “un rompicapo”. Si tratta, in altre parole, di individuare il livello ottimale di acqua per minimizzare contemporaneamente la presenza dei due metalli pesanti nel riso. Il problema, tuttavia, non è ancora stato risolto. La lezione per il futuro, in ogni caso, è chiara. “Molte proprietà del suolo, come la presenza di arsenico riducibile e di cadmio disponibile, il pH, la disponibilità di zolfo e la materia organica dovrebbero essere prese in considerazione quando si cerca di ottimizzare la gestione dell’irrigazione con l’obiettivo di diminuire il rischio di assorbimento dei metalli nei chicchi di riso”, osserva ancora lo studio.

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