Dalla Smart City alla città verde. Fondazione Symbola e IILA (Organizzazione internazionale italo-latinoamericana) raccolgono in un rapporto le migliori pratiche di sviluppo urbano sostenibile. Filo conduttore: l’economia circolare e il recupero dei terreni degradati
di Matteo Cavallito
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Acqua, mobilità ed energia. Ma anche verde urbano e recupero del suolo: sono tante le dimensioni dello sviluppo della nuova città. Una città “green”, con l’aggettivo destinato a rappresentare l’evoluzione di quel carattere ipertecnologico, promettente ma non privo di limiti, che ha accompagnato per anni l’espressione “smart”. Ma attenzione: un centro abitato all’avanguardia non deve essere necessariamente una metropoli, anzi. Lo schema proposto, infatti, interessa soprattutto le realtà medio-piccole che, grazie alle risorse nascoste del loro territorio, possono diventare protagoniste di soluzioni vantaggiose ed equilibrate.
Sono questi i concetti chiave che emergono dal rapporto Economia Circolare e Città Verdi, una raccolta di best practices di sviluppo urbano sostenibile italiane e latinoamericane realizzata nell’ambito dell’omonimo progetto guidato da IILA (Organizzazione internazionale italo-latinoamericana) insieme alla Fondazione Symbola. Lo studio precede idealmente l’ultima ricerca promossa dalla stessa Fondazione – “100 Italian Circular Economy Stories” – che sarà presentata il 15 dicembre.
"Le città non sono cumuli occasionali di pietre ma luoghi di incontro tra empatia e tecnologia" @erealacci presidente @SymbolaFondazio
Oggi all' appuntamento “Economia circolare e Città Verdi @iila_org con @ItaliaGlobe
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La crisi della Smart City
Quello delle città è un ruolo sempre più centrale. Ad oggi gli insediamenti urbani ospitano il 55% della popolazione mondiale, quota che potrebbe salire fino al 70% entro la metà del secolo. Sempre dalle città passa l’80% del prodotto interno lordo del Pianeta ma anche la maggior parte delle emissioni globali. La crisi climatica, insomma, si fa sentire. Ma i problemi non finiscono qui.
Ad essere messa in discussione, infatti, è l’idea stessa di Smart City, fortemente centrata sul peso della tecnologia e delle infrastrutture.
“Questo modello ha mostrato subito i suoi limiti, con disfunzioni nell’implementazione delle soluzioni”, si legge nella ricerca. “Le amministrazioni si sono scontrate con la differenza di velocità tra lo sviluppo della tecnologia e la capacità del sistema di metterla in atto”. A questo si aggiunge il problema del rallentamento della crescita economica, soprattutto nei Paesi più avanzati. La scarsità di risorse rischia infatti di tagliare fuori i centri medio-piccoli. Che fare, dunque?
La nuova Green City
“Soluzioni alternative possono nascere trovando forme di collaborazione, o costruendo massa critica aggregando più comunità”, affermano i ricercatori. Ma non basta. Occorre sviluppare un nuovo concetto capace di superare le asimmetrie tra i centri urbani valorizzando “la cultura e le specificità del territorio senza imporre necessariamente standard precostituiti”. È questo il passaggio dalla Smart alla Green City. Una transizione fondata sul paradigma circolare nella gestione delle risorse energetiche e idriche e dei rifiuti, nello sviluppo della mobilità e nel recupero del suolo. Un cambio di rotta che viene soprattutto da quei luoghi urbani non necessariamente di primo piano che, specialmente in Europa e nelle Americhe, “dimostrano resilienza rispetto ai cambiamenti portati da eventi straordinari, come la pandemia, e sfruttano in maniera positiva le caratteristiche specifiche dei diversi contesti”.
Il suolo al centro dello sviluppo sostenibile
Tra le forme di applicazione dell’economia circolare alle città emergono con forza le pratiche di recupero dei terreni e la rigenerazione dei sistemi naturali. È il caso, ad esempio, degli interventi di recupero territoriale di grandi ex aree industriali o di servizio in contrasto al fenomeno del consumo di suolo. I casi Taranto-Ilva, Napoli-Bagnoli, Milano-Sesto San Giovanni, Torino-Mirafiori, Trento-comparti SLOI e Michelin sono da manuale.
“Le città sono diventate il principale motore della transizione ecologica” osserva Matteo Favero, responsabile del progetto Economia Circolare e Città Verdi per Symbola. “La rigenerazione urbana del suolo, in questo senso, assume un ruolo centrale”.
In Italia, aggiunge, “stanno emergendo in particolare diverse buone pratiche di recupero dei terreni soggetti a degrado che si affiancano alle iniziative di contrasto al dissesto idrogeologico diffuse nella Penisola”. Davvero rilevante, inoltre, la dimensione del ripristino del verde e dello sviluppo dell’agricoltura urbana che trova molte interessanti applicazioni anche in America Latina. Un esempio, ricorda ancora Favero, di come “molto spesso le buone pratiche sulla conservazione del suolo costituiscano una risorsa innovativa che può essere applicata quasi ovunque a costi piuttosto bassi”.
Una scommessa da 38 trilioni di dollari
Il superamento del concetto di Smart City, in ogni caso, non significa di certo ridimensionare il ruolo della tecnologia. Per la città green, infatti, si tratta “di affiancare a soluzioni tecnologiche, politiche adeguate e investimenti mirati”. Quest’ultimo capitolo, in particolare, implica uno sforzo enorme. Secondo le stime ONU, riferiscono i ricercatori, “per spingere verso la sostenibilità servirebbero alle città 38mila miliardi di dollari nel periodo 2020-2030 a livello globale”. Per l’Italia si parla di 31,2 miliardi. Questi investimenti, osserva lo studio, “andrebbero a finanziare edilizia, trasporti, gestione dei rifiuti, spazi pubblici e pianificazione urbanistica”. Ovvero, “tutte quelle dimensioni che armonicamente convergono nella Green City”.