In molti Paesi africani la pratica del “taglia e brucia” è ormai abusata e insostenibile. Per produrre più cibo e salvare l’ambiente, servono approcci nuovi. Come dimostrano i progetti che l’Italia sta sviluppando nel continente
di Stefania Cocco, Valeria Cardelli, Dominique Serrani, Lorenzo Camponi, Andrea Salvucci, Giuseppe Corti *
L’Obiettivo 2 dell’Agenda 2030 è quello di porre fine alla fame, raggiungere la sicurezza alimentare, migliorare l’alimentazione e promuovere l’agricoltura sostenibile. Nel mondo sono ancora troppe le persone che patiscono la fame o soffrono di malnutrizione e, tra le cause di una insufficiente disponibilità di alimenti in determinate zone del mondo, si annovera anche la scarsa fertilità dei suoli che riduce la produzione agricola.
Tra le zone meno fortunate c’è la fascia intertropicale del Sud-America e del continente africano, dove si hanno suoli naturalmente poco fertili denominati Oxisols. Si tratta di suoli fortemente alterati a causa dalle condizioni climatiche aggressive che caratterizzano queste latitudini, che si manifestano con alternanza tra stagioni con abbondanti precipitazioni dilavanti e periodi asciutti e caldi che determinano un’elevata evapotraspirazione. Tali condizioni climatiche hanno favorito una intensa alterazione dei minerali del suolo, così che i suoli si presentano con una bassa capacità di scambio cationico e una tessitura franco-sabbiosa che determina condizioni di aridità anche con precipitazioni annuali di 1200-1300 millimetri. Tutte queste proprietà nel tempo hanno ridotto la fertilità dei suoli.

La distribuzione degli oxicosoils sul pianeta. FONTE: USDA-NCRS
Il degrado della sostanza organica
In queste condizioni pedoclimatiche, la sostanza organica del suolo è soggetta a processi degradativi che prevalgono su quelli di umificazione. Ciò comporta un rapido riciclo degli elementi costituenti la materia organica e una scarsa formazione di orizzonti superficiale scuri perché ricchi di sostanza organica, i quali dovrebbero rappresentare la parte più fertile dei suoli.
Il ridotto contenuto in sostanza organica conferisce una colorazione chiara (i pedologi definiscono questo orizzonte “ochric” per il suo colore marrone chiaro); quando, raramente, si ha la presenza di foresta ombreggiante che favorisce il mantenimento di condizioni di umidità del suolo, l’orizzonte si presenta più scuro (umbric). Sovente questi suoli sono arieggiati causa la pedoturbazione indotta da animali come canidi, roditori, talpe e termiti. Osservando un Oxisol, sotto un sottile orizzonte A ochric (o umbric) c’è uno spesso orizzonte Bo (oxic) costituito da quarzo, ortoclasio, muscovite, kaolinite e ossidi e idrossidi di Ferro, Alluminio, Titanio, Zirconio. La presenza di ossidi e idrossidi di ferro fornisce agli orizzonti Bo colori vivaci: giallo, rosso, arancione. La scarsa quantità di argilla ha anche una bassa capacità di scambio cationico, cosa che la rende poco attiva nella nutrizione delle piante.
La difficoltà di fertilizzare
Per questi motivi, per essere coltivati e dare una produzione, gli Oxisols necessitano di frequenti fertilizzazioni che vanno incontro a due ordini di problemi:
- i fosfati tendono ad essere immobilizzati dagli ossidrossidi di Ferro e Alluminio, risultando non più disponibili per le piante.
- A causa di struttura e tessitura grossolane, le molecole più solubili come i nitrati tendono ad essere lisciviate, inquinando falde e acque interne.
Le abbondanti precipitazioni sono inoltre responsabili della lisciviazione di Calcio e Magnesio. Quindi, se le piante non sono abilissime nell’assorbimento di elementi nutritivi, questi vengono persi per lisciviazione. Gli orizzonti Bo sono generalmente molto spessi (metri o decine di metri) e le piante hanno radici che si approfondiscono anche decine di metri per la ricerca di acqua e elementi nutritivi sfuggiti all’assorbimento da parte delle radici superficiali.
L’abuso del “taglia e brucia”
Visto l’assetto di questi suoli, una volta che gli orizzonti A siano stati consumati da incendi o da eccesso di coltivazione, gli Oxisols vanno rapidamente incontro ad accelerata degradazione. Spesso, per le popolazioni rurali di queste aree, impossibilitate ad acquistare fertilizzanti, la riforestazione è l’unico modo che hanno per dar modo ai suoli di recuperare un minimo di fertilità; è questo il principio del cosiddetto slash and burn (taglia e brucia), un sistema di gestione agroforestale che, praticato da secoli, soprattutto nell’Africa sub-sahariana inizia a far sentire i suoi effetti negativi per la crescita demografica che comporta una sempre più ridotta fase di recupero forestale, per i tagli troppo ravvicinati e per l’eccessivo sfruttamento dei suoli.
In pratica, una superficie forestale viene sottoposta a taglio e ripulita del sottobosco; la ramaglia viene disposta a strisce e bruciata, mentre con la legna viene prodotto del carbone. Le superfici aperte vengono coltivate per uno due anni sfruttando la fertilità del suolo ereditata durante la fase forestale, per essere poi abbandonate alla ricolonizzazione della vegetazione naturale fino al ripristino di livelli di fertilità idonei a una nuova coltivazione. Si tratta di una tecnica di sussistenza antica praticata per aumentare la produzione ma che ultimamente, con turni di taglio e bruciatura ogni 15-20 anni contro i 50-100 anche di solo 50 anni fa, è diventata troppo impattante per l’ambiente e il suolo.
Per di più, agli incendi dovuti a slash and burn si aggiungono quelli tradizionalmente appiccati per:
- spingere la selvaggina verso un luogo a imbuto per cacciarla;
- penetrare più rapidamente nella foresta e tagliare gli alberi più grandi (attività svolta da organizzazioni illegali);
- eliminare erbe infestanti.
I progetti italiani in Africa
Per mitigare gli effetti dello slash and burn, l’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo ha promosso già da alcuni anni, in molti paesi africani, una serie di iniziative progettuali che stanno portando i primi effetti positivi. L’idea è dimostrare alle popolazioni rurali l’importanza della consociazione tra specie vegetali e che la fertilità del suolo si origina dal materiale vegetale in decomposizione.
L’obiettivo delle attività realizzate all’interno del Progetto FORESTE è superare le tecniche agricole tradizionali, adottando un’agricoltura sostenibile che conservi il patrimonio naturale e incrementi la produzione agricola secondo i seguenti suggerimenti:
- non tagliare gli alberi della foresta per allargare le tue coltivazioni; prenditi cura del suolo per renderlo più produttivo;
- non irrigare due volte al giorno, usa la pacciamatura che permette di risparmiare tempo, acqua e fatica;
- non rimuovere i residui di potatura, usali per ridare fertilità al suolo. L’impegno di Mani Tese, ONG coinvolta nel progetto, si concretizza nell’accrescere la consapevolezza delle comunità agricole del valore ambientale ed economico di un ecosistema naturale valorizzato, evitando che venga distrutto.
I vantaggi del biochar
In Paesi come Mozambico, Zimbabwe, Zambia, Uganda, Angola e altri, la ridotta produttività dei suoli rappresenta un problema che attanaglia e minaccia l’agricoltura del Paese e la vita delle persone. Un recente progetto condotto da ricercatori dell’Università di Maputo (Mozambico) e dell’Università Politecnica delle Marche ha testato un sistema sostenibile di gestione di questi suoli difficili. Uno degli obiettivi è stato quello di correggere il pH acido dei suoli e di aumentarne la fertilità addizionando rocce calcaree e fosfatiche autoctone macinate.
L’eccessiva permeabilità con conseguente lisciviazione di nutrienti è stata rallentata con l’impiego di biochar che ha incrementato la ritenzione idrica e dei nutrienti. Quest’ultimo è stato prodotto con scarti delle colture in piccole stufe artigianali che ogni agricoltore può realizzare nella sua azienda.
Con questi trattamenti dal costo ridotto, le produzioni di mais e fagiolo dall’occhio, le colture più diffuse in loco, sono più che raddoppiate rispetto alla sola concimazione minerale.
La piaga land grabbing
Una subdola minaccia che rischia di compromettere la qualità dei suoli dell’Africa meridionale è il land grabbing da parte di Paesi alla ricerca di vaste aree da destinare a produzioni varie (ad esempio, colture destinate a biocarburanti). Inoltre, le infinite distese di savana (36 milioni di ettari), coltivate dai contadini locali a manioca, mais, riso e anacardio, rappresentano un boccone ghiotto per l’agrobusiness internazionale, che intende trasformare la piccola agricoltura familiare in grandi appezzamenti ad agricoltura intensiva come le fazendas brasiliane.

Distribuzione dell’accaparramento di terra per aree geografiche e a livello globale in milioni di ettari. FONTE: Rapporto “I Padroni della Terra”, 2021.
La Repubblica Democratica del Congo è al 1° posto tra i 10 Paesi che hanno ceduto più terre in assoluto, 6,4 milioni di ettari; il Mozambico è al 6° posto con 2,6 milioni di ettari. Lo sfruttamento eccessivo di suoli così vulnerabili è poco compatibile con una gestione sostenibile del suolo e non farà che aumentare le difficoltà interne dei Paesi africani che – è bene ricordare – nonostante tutto, forniscono cibo ai Paesi del primo mondo, non il contrario.
* Gli autori
Stefania Cocco
Professore associato di Pedologia, PhD in Geobotanica e Geomorfologia. Interessi di ricerca: genesi di suoli agrari, forestali, urbani e subacquei; suolo e cambio climatico; rizosfera; soluzioni ecologiche; mineralogia del suolo; erosione idrica; suoli di ambienti aridi; suoli alpini e artici; paleosuoli; Oxisols.
Valeria Cardelli
PhD in pedologia. Collabora con università spagnole e americane per lo studio di suoli forestali e naturali, e sul reimpiego di materiali di scarto in agricoltura. Titolare di assegno di ricerca su riuso sostenibile di scarti di estrazione di idrocarburi.
Dominique Serrani
PhD in Pedologia. Studia gli effetti dello slash and burn sulla fertilità di suoli di sistema agroforestale in Mozambico. Titolare di assegno di ricerca sulla misura dell’erosione e sul monitoraggio della fertilità del suolo in ambienti collinari dell’Italia centrale.
Lorenzo Camponi
Dottore Forestale, CONAF Marche, attualmente dottorando in Pedologia. Si interessa di valutazione degli effetti dei cambi d’uso del suolo su differenti tipologie colturali in ambiente agro-forestale. In particolare: valutazione degli effetti sui parametri fisico-chimici della componente organica del suolo in foreste in conversione; valutazione degli effetti della gestione sulla rizosfera di nocciolo.
Andrea Salvucci
Dottore Agronomo, CONAF Marche. Attualmente dottorando in Pedologia. Si interessa di caratterizzazione pedologica e miglioramento di suoli salini.
Giuseppe Corti
Già presidente della Società Italiana di Pedologia, è attualmente direttore del Centro Agricoltura e Ambiente del CREA.