In Val di Zena, nel bolognese, la passione di un gruppo di appassionati volontari custodisce un originale “Museo dei Botroidi”: particolari “pupazzi di pietra” risalenti al Pliocene. Uno strumento originalissimo per far scoprire i segreti della nostra Terra a grandi e bambini
di Emanuele Isonio
La prima volta che si sentono nominare, riportano alla mente le popolazioni fantastiche della saga di Guerre Stellari. Al pari di neimoidiani, bothan, sabbipodi, kaminoani e bantha. In realtà non c’è nulla di più terrestre dei “botroidi”. All’apparenza strani “personaggi antropomorfi” pietrificati. In realtà sono vere e proprie porte d’ingresso nel passato remoto geologico del Pianeta Terra. Ma anche strumenti per far capire il potere dell’acqua e del tempo nel plasmare i nostri territori. Una lezione estremamente attuale anche oggi, visto l’avanzare repentino dei cambiamenti climatici.
I botroidi sono nati a partire dalle sabbie gialle che nel Pliocene (circa 800mila anni fa, in un periodo nel quale continenti e oceani assumevano la forma attuale) rappresentavano l’ultima spiaggia di mare quaternario. Sono concrezioni che si possono scovare nelle rocce clastiche pelitiche. A formarli è la circolazione subacquea e capillare di acque ricche soprattutto di carbonato di calcio.
Ai profani appaiono straordinarie forme artistiche. Vere opere d’arte create dalla natura. Degne di finire in un museo. Come quello, unico nel suo genere, nato a Tazzola, una frazione del comune di Pianoro, una manciata di chilometri a sud di Bologna. Il contesto circostante sono i panorami suggestivi della Val di Zena con i suoi scenari aperti incontaminati.
Il borgo che ci "ospita": Tazzola
Un borgo con radici antiche, attorno al 1200. Tra il Castello di Zena e il Monte delle Formiche.
Ancora oggi regala scorci artistici!
Dal borgo passano vari percorsi incredibili
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— Museo dei Botroidi (@museobotroidi) June 23, 2022
Una scoperta fatta per caso
L’idea è nata nel 2006 dal ritrovamento nei sotterranei del Castello di Zena dei botroidi raccolti dal ricercatore bolognese Luigi Fantini negli Anni 50/60 del Novecento. Più di 500 esemplari. Fu quell’anno che un archeologo di Bologna, Lamberto Monti, decise di individuare un luogo adeguato per consentire di ammirare i botroidi. “Il museo – spiega Monti – nasce dalla volontà di rendere accessibile in senso ampio la racconta (non solo a chi ha disabilità ma anche a chi magari ignora certi argomenti) cercando di creare stimoli e curiosità verso il paesaggio, il suolo e l’ambiente”.
La location è stata individuata in un’antica stalla in sasso, restaurata in terra cruda. Una scelta dal significato molto chiaro: mettere della terra in un ambiente in cui si parla di terra. Il percorso espositivo oltre ai botroidi propone altri minerali e terre, sabbie gialle, argille, arenaria, gessi, fossili veri, per far vivere un viaggio di circa 70 milioni di anni nella storia della Terra con un focus particolare sul territorio emiliano e sul Contrafforte pliocenico, un’area naturale protetta di 757 ettari situata in tre comuni appartenenti alla città metropolitana di Bologna. L’esposizione è completata da una sezione dedicata ad esemplari di botroidi che provengono da varie zone del mondo, dall’Algeria alla Libia fino all’Alaska.
“Si invita a toccare”
L’approccio della mostra, che è stata premiata dall’Associazione Italiana Turismo sostenibile e patrocinata dall’Unione nazionale Comunità montane (UNCEM), è ben diverso dai musei tradizionali, nei quali è tassativamente proibito toccare i reperti. Qui la geologia è letteralmente “a portata di mano”. La particolarità del museo, che è aperto tutti i giorni dalle 9 alle 19 dal 1° marzo al 31 ottobre e su prenotazione nel resto dell’anno, è la completa assenza di vetrine e barriere. Lo chiarisce il primo cartello all’entrata: “Si invita a toccare”.
“Abbiamo voluto creare un museo tattile – sensoriale, fruibile anche dalle persone con disabilità. Una didattica senza frontiere, in grado di facilitare la fruzione del patrimonio culturale! Aggiunge Monti. “La visita permette di conoscere caratteristiche, forme e particolarità di fossili e minerali veri, toccando, manipolando e coinvolgendo attraverso sollecitazioni sensoriali. Le mani incamerano informazioni in modo concreto, per poi passarle al cervello. Ascoltare o guardare è una cosa, ma si impara ad un livello più profondo quando si integra con l’uso delle mani. Passiamo da un apprendimento passivo ad uno attivo”.
Un museo inserito in un percorso naturalistico
L’obiettivo finale è sensibilizzare le persone su temi come l’ambiente, il benessere collettivo, la socialità. “Pensiamo che il museo possa essere uno strumento importante per affrontare e sensibilizzare verso tematiche che a prima vista possono essere lontane” prosegue Monti.
In breve tempo, il museo è diventato un punto di riferimento anche per le scuole del territorio. L’occasione è ghiotta per insegnare la geologia in modo semplice e interattivo. “I bambini trovano bello poter toccare, anzi essere invitati a toccare i reperti, quando di solito sono costretti a fare attenzione a ogni loro movimento. Forse è per questo che anno dopo anno le visite didattiche aumentano”. La collaborazione con il Club Alpino Italiano ha inserito poi il museo all’interno di uno dei percorsi che collegano la Val di Zena e il Monte delle Formiche. In questo modo, le lezioni di storia della terra si coniugano con i sentieri che permettono di scoprire il territorio di oggi. Una sorta di flashback nella Terra che fu, mentre si ammira la Terra di oggi.