Esiste un legame sottovalutato tra la nostra sicurezza alimentare, la salute dei suoli e il corretto utilizzo dei rifiuti organici. Trasformarli in fertilizzanti permette di soddisfare sia le esigenze agronomico-nutrizionali sia quelle ambientali
di Claudio Marzadori*, Luciano Cavani** e Claudio Ciavatta***
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I fertilizzanti organici (concimi e ammendanti) sono prodotti che derivano da processi di trasformazione di rifiuti organici (contengono carbonio organico). Proprio grazie all’applicazione di tali processi, cessano la qualifica di rifiuti e acquistano quella di prodotti, end of waste processes. Per assumere la qualifica di fertilizzanti organici debbono acquisire caratteristiche tali da renderli idonei a sostenere e migliorare la qualità dei suoli, la crescita delle piante coltivate e garantire sicurezza nei confronti della salute dell’uomo, degli animali e dell’ambiente. Nell’anno 2019 la produzione italiana è stata di circa 3 milioni di tonnellate.
I trattamenti a cui, potenzialmente, possono essere sottoposti i rifiuti organici sono molteplici. Non è affatto scontato che tutti possano e debbano essere portati verso la filiera produttiva dei fertilizzanti. Esistono, tuttavia, solide basi scientifiche ed ecologiche che suggeriscono l’opportunità di perseguire questa via tutte le volte che questo sia possibile.
Fertilizzanti organici e sicurezza alimentare
Indubbiamente una delle funzioni maggiormente riconosciute al suolo è quella di sostenere la produzione alimentare, garantendo quella che oggi definiamo sicurezza alimentare (food security). Tuttavia, a livello globale sono circa 800 milioni le persone che non dispongono di cibo a sufficienza e nel contempo sappiamo che il 95% del cibo che consumiamo viene prodotto direttamente o indirettamente dai suoli coltivati le cui superfici sono in costante flessione e non sarebbe saggio disboscare per aumentarle. È quindi chiaro che preservare, se non aumentare, la capacità produttiva di ogni singolo ettaro di suolo agricolo rappresenta una priorità assoluta.
Parlare di rifiuti come materie prime da cui partire per la tutela della sicurezza alimentare potrebbe sembrare un paradosso. Ma questo solo per chi trascura o non conosce il funzionamento del sistema suolo-pianta. Il suolo è il comparto ambientale ecologicamente deputato alla chiusura del ciclo del detrito, cioè all’estrazione finale di energia da tutte quelle sostanze organiche che residuano dai cicli metabolici di animali, piante e microrganismi.
In una società tecnologicamente avanzata, e caratterizzata da un elevato grado di inurbamento, il detrito può essere più propriamente definito rifiuto. Ogni deviazione di questi flussi porta a un accumulo di energia, sottoforma di detriti o rifiuti, in comparti ambientali inadatti alla loro trasformazione: ad esempio acque o atmosfera, con tutte le conseguenze negative che ben conosciamo, a partire dai fenomeni di eutrofizzazione ed emissione di gas serra (GHG). Al contrario, il recupero dei rifiuti a base organica sottoforma di fertilizzanti consente di sottrarre allo spreco risorse, dagli elementi nutritivi e carbonio organico che provengono da fonti rinnovabili. L’attività di recupero e riutilizzo in agricoltura di questi rifiuti, come fertilizzanti, ricopre quindi la doppia valenza agronomico-nutrizionale e ambientale.
Fertilizzanti organici e sequestro del carbonio
La pratica dell’ammendamento con prodotti di qualità, cioè materiali nei quali il carbonio organico è stato sottoposto ad adeguati trattamenti stabilizzanti, può rappresentare un’efficace pratica di contrasto ai cambiamenti climatici, andando ad incrementare il pool di carbonio stabile nel suolo e quindi favorendone i fenomeni di sequestro piuttosto che una rapida mineralizzazione con produzione di anidride carbonica.
La difficoltà di reperimento di fonti di sostanza organica per la fertilizzazione dei suoli ha portato negli anni allo sviluppo di tecnologie in grado di migliorare la qualità agronomica e ambientale di biomasse di scarto di diversa origine da utilizzarsi come fertilizzanti. Un aspetto fondamentale dell’utilizzo di fertilizzanti a base organica in agricoltura è, come si diceva, legato alla qualità della sostanza organica in esse contenuta, in termini soprattutto di stabilità. Infatti, l’immissione nel suolo di sostanza organica non stabile può avere conseguenze fortemente negative imputabili, soprattutto, a un forte incremento dell’attività microbica del suolo con conseguente diminuzione dell’ossigeno molecolare tellurico e il pericolo di innesco di fenomeni che portino alla diminuzione del contenuto del suolo in carbonio organico, tecnicamente si parla di priming-effect.
Il pericolo di utilizzi meno efficienti
Il mondo dei rifiuti rappresenta senza dubbio la principale fonte di approvvigionamento di materia prima per la produzione di fertilizzanti di elevata qualità ed è a questo settore che ci si può e deve rivolgere per far sì che risorse così importanti per il comparto primario non vadano “perse”, magari attraverso pratiche di smaltimento fortemente impattanti o di recupero alternativo a quello qui proposto meno efficienti da un punto di vista energetico ed ambientale.
Dobbiamo quindi salutare con speranza l’entrata in vigore, nel luglio 2022, del Regolamento europeo sui fertilizzanti approvato nel 2019 (Reg. (UE) 2019/1009). Quella norma europea infatti è lo strumento concreto per dare corpo alla strategia della economia circolare volta al recupero e riciclo di sottoprodotti e rifiuti per recuperare sostanza organica, elementi nutritivi ed energia.
* Claudio Marzadori, PhD.
Professore ordinario di Chimica Agraria presso il Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agro-Alimentari dell’ Alma Mater Studiorum Università di Bologna-DISTAL. La sua attività accademica è da sempre incentrata sullo studio dei processi chimici e biochimici che caratterizzano il sistema suolo-pianta. La sua attività didattica lo vede titolare di insegnamenti relativi alla Chimica del Suolo, la Biochimica agraria e la Chimica e Biochimica dell’interazione suolo pianta. Recentemente le sue attività di ricerca sono fortemente orientate alla definizione di strumenti di valutazione della funzionalità dei suoli in rapporto alle loro destinazioni d’uso. Si sta inoltre applicando alle ricerche relative allo sviluppo delle pratiche d’uso e riciclo di biosolidi nei suoli a scopo fertilizzante.
** Luciano Cavani, PhD.
Professore associato presso l’ Alma Mater Studiorum Università di Bologna, svolge le sue ricerche nell’ambito della Chimica agraria.
È titolare degli insegnamenti di “Indici di qualità del suolo” e di “Soil chemistry and carbon cycle”. I suoi interessi di ricerca sono rivolti in modo particolare alla fertilità dei terreni agrari, ai fertilizzanti e all’utilizzo dei sottoprodotti agro-industriali in agricoltura. Attualmente incentra la sua ricerca sullo studio delle relazioni tra la gestione agronomica (lavorazioni, rotazioni, consociazioni, concimazioni) e la funzionalità del suolo.
*** Claudio Ciavatta
Professore ordinario di Chimica Agraria presso il Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agro-Alimentari (DISTAL) dell’Alma Mater Studiorum all’università di Bologna. Già presidente della Società italiana di Chimica Agraria, studia in particolare gli aspetti chimico-strutturali e biochimici della sostanza organica di suoli, fertilizzanti, di biomasse di riciclo e di rifiuto, e della fertilità del suolo, con particolare riferimento ai cicli dell’azoto e del fosforo. Ha al suo attivo oltre 300 pubblicazioni.