Clima, nella tundra artica le piante boreali sono sempre più diffuse
Uno studio svedese illustra le dinamiche del fenomeno. Il processo, rileva la ricerca, non si verifica necessariamente dove il riscaldamento è maggiore ma, più semplicemente, dove le condizioni sono favorevoli all’insediamento
di Matteo Cavallito
Il cambiamento climatico starebbe modificando sempre più rapidamente la vegetazione della tundra dell’Artico contribuendo alla diffusione di specie tipiche delle foreste vicine. Un processo ampiamente visibile e determinato in larga parte dalla crescente presenza delle piante già esistenti nella zona di transizione tra i due ambienti. Il fenomeno, noto come borealization (termine non ancora italianizzato), è particolarmente diffuso in Eurasia e nelle regioni montuose. A sostenerlo è un nuovo studio su larga scala condotto dai ricercatori dell’Università di Göteborg, in Svezia, su oltre un migliaio di siti di campionamento in tutto il bioma artico.
Lo studio
“La borealizzazione della tundra è stata segnalata sporadicamente, ma non quantificata in modo sistematico“, spiegano gli autori. ”Nella nostra ricerca abbiamo sintetizzato i dati provenienti da 32 aree di studio, che coprono 1.137 appezzamenti e 287 specie di piante vascolari, riesaminati tra il 1981 e il 2023”. I ricercatori, nel dettaglio, si sono impegnati su tre fronti:
- hanno misurato il fenomeno dell’aumento della presenza nella tundra di specie boreali e tipiche di entrambi gli ambienti;
- valutato i fattori biogeografici, climatici e locali che determinano questa tendenza;
- identificato le specie che contribuiscono maggiormente a quest’ultima e le loro caratteristiche associate.
In questo modo hanno scoperto che molte specie di erbe e arbusti che possono vivere sia nella foresta che nella tundra stanno guadagnando terreno in quest’ultima. Tale fenomeno “è più forte vicino al limite della vegetazione arborea, sia in luoghi caldi e umidi sia in aree con cambiamenti climatici limitati, il che suggerisce che esso non si verifica necessariamente dove il riscaldamento è maggiore, ma dove le condizioni sono più favorevoli all’insediamento delle piante” spiega in una nota Anne Bjorkman, ricercatrice in ecologia vegetale presso l’Università di Göteborg.
Le erbe e gli arbusti si diffondono più facilmente
Alcune caratteristiche, spiegano gli scienziati, consentono a certe piante di diffondersi con maggiore successo rispetto ad altre. Le specie boreali più basse si espandono più spesso di quelle più alte nelle zone della tundra recentemente colonizzate. Inoltre, le erbe e gli arbusti hanno occupato più aree rispetto alle piante erbacee, in parte grazie a un assorbimento più efficiente dei nutrienti presenti nel suolo.
Questi fattori contribuiscono alla variabilità geografica del fenomeno che, spiega lo studio, “è maggiore in Eurasia, più vicino al limite delle vegetazioni arboree ad altitudini più elevate”.
Tutto questo, ovviamente, non avviene senza conseguenze. I licheni, ad esempio, possono scomparire all’ombra dei cespugli, riducendo l’approvvigionamento alimentare degli animali come le renne di montagna, modificandone le rotte migratorie e riducendo il loro accesso alle piante tradizionali. Alcuni animali come alci, volpi rosse, castori e arvicole delle foreste, invece, potrebbero diffondersi in nuovi habitat e influire così sugli ecosistemi. Ma non è tutto.
Conseguenze per il clima, l’ecosistema e le comunità locali
L’impatto di questo processo nella tundra, sottolineano ancora gli autori, può essere evidente anche sul fronte climatico. Espandendosi, infatti, gli arbusti e le altre specie simili agli alberi trattengono più neve in inverno e coprono il terreno in estate. Questo fenomeno modifica la temperatura del suolo e può accelerare lo scioglimento del permafrost. Rilasciando così grandi quantità di carbonio rimaste intrappolate per migliaia di anni e contribuendo al riscaldamento globale.
Infine, rileva lo studio, “questi cambiamenti nella composizione delle comunità vegetali potrebbero avere effetti a cascata sulle interazioni terra-atmosfera, sulle dinamiche trofiche e sulla disponibilità di mezzi di sussistenza delle popolazioni indigene e locali”.
Secondo Robert Björk, ricercatore sugli ecosistemi artici presso l’Università di Göteborg, la tendenza in atto, in particolare, potrebbe impattare sulle comunità “che dipendono dalla caccia, dall’allevamento delle renne e dalla raccolta di piante come parte delle loro tradizioni culturali”.

Anne Bjorkman, University of Gothenburg press release
Patrick Domke / ETH Zurich, per uso non commerciale
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