15 Novembre 2024

“Investire in bioeconomia circolare è cruciale per curare il suolo”

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Teresa Del Giudice, nuovo presidente del CTS di Re Soil Foundation, è docente di Economia agraria all'Università Federico II di Napoli.

Teresa del Giudice, nuovo presidente del CTS di Re Soil Foundation: “Trasformiamo gli eventi meteo estremi in opportunità per intervenire sull’emergenza suolo. La comunità scientifica sottolinei la stretta connessione tra cura dei suoli e salute umana”

di Emanuele Isonio

 

“Le drammatiche immagini dell’alluvione che ha colpito Valencia, prima ancora quella della Romagna e, poche ore fa, le fortissime piogge che stanno mettendo in ginocchio la Sicilia orientale stanno facendo comprendere che gli eventi meteo estremi causati dal cambiamento climatico non sono un problema per i nostri nipoti. Sono una realtà tangibile, con impatti diretti sulle nostre vite, sul nostro sistema agricolo e sulla nostra economia. In questo scenario drammatico si crea una finestra di opportunità. Noi come comunità scientifica dobbiamo essere bravi a coglierla, offrendo analisi e risposte percorribili”. A dirlo è Teresa Del Giudice, docente di Economia agraria all’università di Napoli Federico II e da poche settimane nominata nuova presidente del Comitato Tecnico Scientifico di Re Soil Foundation.

Professoressa Del Giudice, perché fino ad ora l’emergenza suolo è stata sottovalutata da amministratori e opinione pubblica?

La visione del suolo si è evoluta molto velocemente. Le scienze del suolo in poco tempo sono passate dal considerarlo un substrato inerte a descriverlo come un ecosistema vivente, tra i più importanti del Pianeta e dal quale dipendono molti servizi garantiti al genere umano e, in particolare, il cibo. La velocità con cui si è evoluta la valutazione tra gli scienziati non è la stessa del resto della società. Questo sta causando problemi. Soprattutto nel nostro Paese.

Organizzazione della rete alimentare del suolo. Modello semplificato dei diversi gruppi di organismi del suolo: i microrganismi, micro, meso e macrofauna sono raggruppati in tre categorie nella rete alimentare e la sua differenziazione funzionale. In primo luogo, la micro-rete alimentare (linee tratteggiate) comprende batteri e funghi, che sono alla base della rete alimentare e decompongono la materia organica del suolo, che rappresenta la risorsa di base dell'ecosistema del suolo, e i loro predatori diretti, protozoi e nematodi. In secondo luogo, i trasformatori della lettiera includono i microartropodi che frammentano la lettiera, creando nuove superfici per l'attacco microbico. Infine, gli ingegneri dell'ecosistema, come termiti, lombrichi e formiche, modificano la struttura del suolo migliorando la circolazione di nutrienti, energia, gas e acqua. Adattato da Coleman e Wall, 2015. FONTE: FAO State of knowledge of soil biodiversity—Report 2020.

Organizzazione della rete alimentare del suolo. Modello semplificato dei diversi gruppi di organismi del suolo: i microrganismi, micro, meso e macrofauna sono raggruppati in tre categorie nella rete alimentare e la sua differenziazione funzionale. In primo luogo, la micro-rete alimentare (linee tratteggiate) comprende batteri e funghi, che sono alla base della rete alimentare e decompongono la materia organica del suolo, che rappresenta la risorsa di base dell’ecosistema del suolo, e i loro predatori diretti, protozoi e nematodi. In secondo luogo, i trasformatori della lettiera includono i microartropodi che frammentano la lettiera, creando nuove superfici per l’attacco microbico. Infine, gli ingegneri dell’ecosistema, come termiti, lombrichi e formiche, modificano la struttura del suolo migliorando la circolazione di nutrienti, energia, gas e acqua. Adattato da Coleman e Wall, 2015. FONTE: FAO State of knowledge of soil biodiversity—Report 2020.

Perché in Italia più che in altre parti?

Perché il nostro è un Paese che può essere definito a destinazione agricola più che a vocazione agricola: solo il 20% della nostra superficie nazionale è in pianura. E in queste aree, che dovrebbero essere preziosissime, si sono inserite anche altre attività produttive, allevamenti, fabbriche. Senza considerare l’affluenza di popolazione proveniente dalle aree interne che si stanno spopolando. Questo ha creato una tempesta perfetta, che ha finito per maltrattare ulteriormente il suolo agricolo.

FONTE: Rapporto “Consumo di suolo. Dinamiche territoriali e servizi ecosistemici”. ISPRA 2022

In questo ritardo di percezione c’è anche un problema di difficoltà di comunicare da parte della comunità degli scienziati del suolo?

Dobbiamo ammettere che noi scienziati non siamo stati bravissimi nella comunicazione. Parlare di questi temi non è banale, né facile. Ma dobbiamo riuscire a superare questo limite.

Come ci si può riuscire, secondo lei?

Coinvolgendo nelle nostre attività altri attori della società. Fondamentale è ad esempio sviluppare un flusso di informazioni e conoscenza che coinvolga le scuole fin dai primi anni dell’istruzione obbligatoria. E poi credo sia essenziale far capire lo stretto legame esistente tra la salute del suolo e la salute umana.

Crede che questo aumenti la sensibilità collettiva?

Senza dubbio. I consumatori sono molto più inclini a fare scelte in funzione dei vantaggi salutistici che esse producono. Gli effetti sulla nostra salute influenzano notevolmente i comportamenti di acquisto e di consumo. Prendiamo il caso dell’agricoltura biologica: la sua diffusione si è avuta principalmente non per l’apporto positivo che essa indubbiamente ha sull’ambiente ma per gli innegabili vantaggi in termini nutrizionali e salutistici. O riusciamo a diffondere un approccio “one health” che sottolinei l’importanza di un suolo sano, o non riusciremo a garantire la salute collettiva.

In questo sforzo si inseriscono anche le attività del Comitato Tecnico Scientifico di Re Soil Foundation che lei è stata chiamata a presiedere per il prossimo triennio. Quali obiettivi vorrebbe raggiungere?

Nella prima riunione che abbiamo avuto in occasione della fiera Ecomondo di Rimini e a margine degli Stati Generali del Suolo, abbiamo individuato alcuni ambiti di intervento che riteniamo prioritari. Vogliamo riuscire a valorizzare tutte le diverse competenze che ci sono nel CTS, perché la sinergia tra loro è essenziale per costruire una visione olistica del problema suolo. E vogliamo portare questa consapevolezza a sostegno delle policy che devono essere attuate a livello locale, nazionale e sovranazionale. L’attuale Politica Agricola Comune si concluderà nel 2027: se vogliamo che le politiche del futuro consentano un cambio di passo rispetto alla tutela del suolo e inglobino in maniera organica le attuali conoscenze che la scienza possiede, bisogna partire ora. Siamo in un momento molto sfidante ma non possiamo permetterci ritardi, se vogliamo ottenere risultati concreti ed equi.

Se dovesse indicare un ambito nel quale sarebbe lungimirante investire per tenere insieme sviluppo economico in ambito agricolo e cura del suolo, quale le viene in mente?

Indubbiamente tutte le soluzioni figlie della bioeconomia circolare. I sottoprodotti ottenuti dalle attività agricole rappresentano un costo per le aziende e un’esternalità per l’ambiente. Le innovazioni che permettono di reinserirli nel ciclo produttivo o di trasformarle in ulteriori prodotti per la fertilizzazione dei terreni sono indispensabili per ridurre l’impronta ecologica di tutto il settore agricolo e abbattere i costi aziendali. Altrimenti, il loro smaltimento molte volte illegale diventa un elemento di concorrenza sleale, difficile da combattere. La vera sfida sta nel costruire innovazioni ritagliate sulle reali necessità delle aziende, per non accentuare fenomeni di disuguaglianza.

Pone di nuovo l’accento sull’equità. La transizione circolare rischia di essere un elemento che acuisce le differenze?

Ricordiamo che in Italia l’agricoltura è fatta soprattutto da aziende di piccole e medie dimensioni. Le azioni devono essere costruire su misura per queste realtà. Le grandi imprese comunque riusciranno a seguire la transizione verso il nuovo approccio. Ma se non ci portiamo dietro le aziende più piccole, ci troveremo in una situazione più polarizzata e meno equilibrata. E questo non va a vantaggio né della collettività né del territorio. Ricordiamo che sono proprio le aziende di più piccole dimensioni che garantiscono, attraverso il loro lavoro, il presidio di territori marginali, come le aree interne. E così facendo garantiscono la salute del suolo e l’assetto idrogeologico del territorio.