“Le plastiche biodegradabili non impattano sugli ecosistemi”
Uno studio statunitense evidenzia come le bioplastiche possano degradarsi in tempi accettabili e senza danno per l’ambiente purché siano smaltite in modo adeguato
di Matteo Cavallito
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Le bioplastiche non si accumulano nell’ambiente e non impattano sugli ecosistemi a patto che siano soggette a un corretto smaltimento. È la conclusione di uno studio statunitense pubblicato sulla rivista NPJ Materials Sustainability che ha preso in esame diverse ricerche precedenti.
“Le plastiche biodegradabili sono state proposte come alternativa alle omologhe convenzionali per molte applicazioni”, spiega l’indagine a cura di Yingxue Yu, ricercatrice della Connecticut Agricultural Experiment Station di New Haven, e Markus Flury, ricercatore della Washington State University. “In questa ricerca valutiamo criticamente la letteratura sul loro impatto ambientale, analizzando aspetti come la loro degradazione e l’ecotossicità e valutandone le potenzialità”.
I vantaggi delle bioplastiche
Nel mondo, l’uso della plastica convenzionale è tuttora in crescita: nel 2023 l’utilizzo complessivo del materiale è stato stimato in 490 milioni di tonnellate, un ammontare destinato a raggiungere quota 765 milioni di tonnellate entro il 2040. Ad aumentare, va da sé, sono anche i rifiuti: oggi il loro peso annuale raggiunge i 375 milioni di tonnellate che diventeranno 615 nello spazio di 15 anni. In questo scenario, i bioprodotti rappresentano oggi un’alternativa davvero importante.
“Il principale vantaggio delle plastiche biodegradabili è che, dopo il loro uso, possono essere trasformate dai microrganismi in CO2, metano e biomassa microbica”, si legge nello studio.
Ciò significa che “le plastiche biodegradabili non hanno un’impronta ambientale alla fine del loro ciclo di vita”. Questi materiali, di conseguenza, “sono particolarmente preziosi in quelle situazioni in cui il riciclo e il riutilizzo non sono facilmente realizzabili”. Negli ultimi anni l’utilizzo delle bioplastiche ha interessato diversi settori tra cui il comparto agricolo con la produzione di teli di pacciamatura in grado di biodegradarsi nel suolo. Ed è proprio questo processo ad aver attirato nel tempo l’attenzione dei ricercatori.
I timori di impatto ambientale
Durante la biodegradazione, ricorda lo studio, i prodotti si frammentano in pezzi sempre più piccoli, generando micro e nanoplastiche ovvero particelle con diametri inferiori, rispettivamente, a 5 e a 0,001 millimetri in base alle classificazioni più diffuse (ma non esiste, al momento, un criterio universalmente condiviso). Per i materiali biodegradabili, questo processo di frammentazione è generalmente più veloce rispetto alle plastiche convenzionali.
Tuttavia, spiegano gli autori, “la generazione di micro e nanoplastiche da materie biodegradabili è un’arma a doppio taglio”. Da un lato, infatti, “si tratta di un processo auspicabile che favorisce la biodegradazione in modo sostanziale”. Queste particelle, tuttavia, “possono avere un impatto negativo sull’ambiente prima di essere completamente decomposte”.
Per valutare correttamente l’impatto di questo fenomeno occorre prendere in considerazione tre domande:
- Quanta micro e nanoplastica viene prodotta?
- Qual è il tempo di permanenza di queste micro e nanoplastiche?
- La quantità di materiale e il tempo di permanenza rilevati sono sufficienti a causare impatti ambientali negativi?
Gli autori hanno quindi preso in considerazione la biodegradazione dei teli di pacciamatura in plastica nel suolo, nel tentativo di fornire le risposte ai tre quesiti.

Classificazione delle plastiche per origine e biodegradabilità. FONTE: Assessment of Agricultural plastics and their sustainability. FAO, 2021.
Nessun danno per il suolo
Analizzando un tipico film di pacciamatura in plastica biodegradabile nel suolo con uno spessore di 15 micrometri (15 millesimi di millimetro) e una densità di 1.250 kg per metro cubo molto simile a quella del terreno su cui viene applicato (1.200 kg per metro cubo), gli scienziati hanno calcolato una concentrazione di massa pari a 78 millesimi di grammo di plastica per kg di suolo. Tale concentrazione, rilevata subito dopo la lavorazione, diminuisce nel tempo ma aumenta nuovamente con le applicazioni successive.
A conti fatti: “Ripetute applicazioni di pacciamatura e un tasso medio di biodegradazione del 20% all’anno determinano una concentrazione allo stato stazionario tre volte superiore a quella iniziale, ovvero pari a un valore massimo di 56,3 grammi di plastica per metro quadro e di 0,23 grammi per chilo di suolo”.
E ancora: “Anche con un tasso di biodegradazione del 10% all’anno, la concentrazione massima nel suolo ammonterebbe a 0,43 g/kg per le plastiche biodegradabili residue allo stato stazionario”. La ricerca, in sintesi, “suggerisce che, in condizioni di corretto smaltimento e di completa degradazione, le plastiche biodegradabili, comprese le micro e le nanoplastiche, non si accumulerebbero in modo sostanziale nell’ambiente e sarebbero ben lontane dal raggiungere concentrazioni dannose per gli ecosistemi”.
Quattro raccomandazioni per gli enti regolatori
Gli autori sottolineano infine l’importanza di un corretto smaltimento dei rifiuti plastici biodegradabili. Per garantire una decomposizione rapida, inoltre, gli scienziati propongono di calibrare la biodegradabilità effettiva tenendo contro dei diversi ambienti in cui i bioprodotti vengono smaltiti. Quattro le raccomandazioni specifiche per il settore e le agenzie di regolamentazione, chiamate a intraprendere una serie di misure tra cui:
- controllare l’eventuale presenza di additivi;
- imporre la certificazione di biodegradabilità dei prodotti;
- fornire istruzioni per lo smaltimento;
- garantire un’adeguata capacità di lavorazione e l’accessibilità agli impianti di compostaggio industriale e digestione anaerobica.
“Con test adeguati, un’etichettatura completa e una gestione efficace, riteniamo che, per alcune applicazioni, le plastiche biodegradabili siano un promettente sostituto di quelle convenzionali”, concludono gli scienziati.

Novamont
Patrick Domke / ETH Zurich, per uso non commerciale
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