Uno studio, realizzato dall’Associazione Apicoltori della Val di Sole insieme all’Università di Bolzano, ha usato le api come “agenti” per il biomonitoraggio. Grazie a loro, individuata la presenza di 566 principi attivi di agrofarmaci. L’analisi rappresenta la prima mappatura di questo genere condotta su un intero territorio
di Emanuele Isonio
Sono la specie più iconica nel mondo degli insetti, nonché un baluardo decisivo per la sicurezza alimentare mondiale: le api, esponenti di primo piano del club degli impollinatori, sono capaci di influenzare, secondo le stime della FAO, il 75% della produzione agricola mondiale aumentando le rese di 87 delle principali colture del Pianeta. Ma attenzione: a certificare la loro importanza non è solo l’impatto sul fronte alimentare. Lo sanno bene i ricercatori che da anni studiano le potenzialità della specie sotto diversi punti di vista. Talvolta sorprendenti.
Basta ad esempio guardare al progetto sviluppato in Val di Sole: nella valle trentina, alcuni ricercatori hanno iniziato a utilizzare i preziosi insetti per controllare l’eventuale presenza di agrofarmaci e metalli pesanti sulla flora locale e per verificare quindi la qualità della propria atmosfera. Il primo esempio di biomonitoraggio di questo tipo sulle Alpi. L’idea è stata sviluppata a partire dal 2019 grazie a un progetto di ricerca che ha visto coinvolta l’Associazione Apicoltori della Val di Sole, Pejo e Rabbi, la Libera Università di Bolzano e una studentessa in Scienze Agrarie e Agro-ambientali, Erica Rizzi, che ha monitorato i risultati trasformando questa attività nella propria tesi di laurea.
Due milioni di microprelievi su 22 apiari
«Abbiamo pensato di utilizzare le api come rilevatore ecologico perché questi insetti hanno delle caratteristiche morfologiche ed etologiche uniche» spiega il professor Sergio Angeli, docente di Entomologia generale ed applicata nell’ateneo altoatesino. «Difficilmente i prelievi puntiformi eseguiti dall’uomo potrebbero eguagliarle». Ogni ape, ogni giorno, effettua infatti centinaia di microprelievi sparsi in un arco di oltre un chilometro da dove è collocato il proprio alveare.
Ogni alveare ha al suo interno migliaia di esemplari. E per il progetto in Val di Sole sono stati individuati ben 22 apiari stanziali, distribuiti nei diversi borghi, inclusi quelli delle due valli laterali, inserite nel Parco Nazionale dello Stelvio trentino: Pejo e Rabbi. «In questo modo abbiamo potuto contare su due milioni di microprelievi al giorno, che hanno “puntinato” il nostro territorio meglio di qualsiasi altro campionatore avessimo scelto e permesso di verificare sia la presenza di agrofarmaci sia la loro concentrazione» prosegue Angeli. Per effettuare i test sui contaminanti è stato utilizzato il polline che le api producono quando, lasciando l’alveare, vanno di fiore in fiore.
Attraverso dei filtri è stato possibile prelevare il polline prodotto e inviato alle analisi. «Per verificare quando e in che quantità i contaminanti sono presenti nel terreno che circonda gli apiari – spiega Erica Rizzi – la raccolta del polline è avvenuta in 8 giornate. 4 durante i mesi primaverili, quando gli agricoltori della bassa Val di Sole utilizzano i fitofarmaci e 4 in estate, per verificare l’eventuale permanenza degli agrofarmaci dopo mesi dall’utilizzo».

Le api e insetti impollinatori in generale hanno un ruolo cruciale per la nostra sicurezza alimentare e per gli ecosistemi. Qui, 5 dei “servizi” garantiti dalla loro presenza. FONTE: Archivio FAO.
Un metodo efficace e replicabile
Le analisi effettuate hanno ricercato la presenza di 566 principi attivi, tra i quali il controverso glifosato e di 3 metalli pesanti (cadmio, piombo e rame). I risultati sono da un lato un riconoscimento degli sforzi portati avanti dalla Val di Sole nel percorso di sostenibilità e di tutela della propria qualità dell’aria.
«Ci sono zone, come quelle della Val di Pejo e dell’alta Val di Sole, vicino a Vermiglio, totalmente esenti da qualsiasi esposizione ad agrofarmaci» conferma Rizzi. «Nei campioni non è infatti stato trovato alcun tipo di residuo».
La situazione cambia se si scende di quota e ci si concentra nelle aree a maggiore intensità di attività agricole, concentrate nella vicina Val di Non. “Negli apiari più vicini a quei territori – spiega Rizzi – abbiamo rilevato la presenza di 15 insetticidi, 43 fungicidi, 3 erbicidi, 2 regolatori di crescita e 3 metalli pesanti”. Risultati puntualmente trasferiti ai produttori agricoli della zona, per individuare strategie che portino a una progressiva riduzione dell’uso di chimica di sintesi in campo. “I risultati hanno da un lato confermato la purezza dell’atmosfera di buona parte della Val di Sole ma ci hanno permesso anche di sapere puntualmente dove è più urgente intervenire. Abbiamo inoltre potuto costruire un approccio di indagine perfetto per essere replicato in altre parti d’Italia” conclude Sergio Angeli.
Un Museo dedicato alle api e agli altri impollinatori
Proprio la riproducibilità dell’indagine rappresenta oggi un punto di forza nel contrasto alla contaminazione dei territori e, di riflesso, nella protezione della specie. Non è un caso che questa iniziativa abbia visto coinvolti gli apicoltori solandri. In Val di Sole infatti hanno costruito nel corso del tempo un rapporto quasi simbiotico, a controprova dell’impegno in favore della tutela della biodiversità e dei prodotti alimentari locali.
Il segno tangibile di questo impegno è il MMape: l’originale Museo dell’Ape che sorge all’interno di un antico mulino, ai margini dell’area protetta denominata “Ontaneta di Croviana”. I 140 apicoltori della Val di Sole, Pejo e Rabbi lo hanno creato insieme al Comune di Croviana e alla Fondazione Mach. Un museo davvero unico nel suo genere. Al suo interno infatti scienza e natura si fondono, offrendo stimoli per conoscere, divulgare e valorizzare l’apicoltura di montagna.
Chi lo visita può sperimentare un affascinante viaggio sensoriale alla scoperta del mondo delle api. Entrare nel loro nido, ascoltare i suoni che provengono dalle cellette e osservare una piccola larva trasformarsi in un’ape. Si può poi assistere alla smielatura, degustare il dolce nettare e acquistare direttamente i prodotti dell’alveare, provenienti esclusivamente dalle piccole aziende locali. «Nel corso degli anni, questo museo è diventato un punto di riferimento per la divulgazione ambientale del nostro territorio», spiega Rizzi. «Un motivo di soddisfazione per i tanti volontari che lo hanno reso possibile. Attraverso la loro opera, aiutiamo a costruire la conoscenza su questi fondamentali insetti. Un contributo che forniamo con grande passione per la loro indispensabile tutela».