8 Dicembre 2025

Così il suolo artico compensa le emissioni del permafrost alpino

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Il cambiamento climatico riduce l’assorbimento dei gas serra del permafrost alpino ma al contempo, spiega uno studio cinese, stimola il sequestro di CO2 e metano in quello artico. Nel primo caso il potenziale di riscaldamento globale aumenta del 13%. Nel secondo si riduce del 10%

di Matteo Cavallito

Il riscaldamento globale altera la capacità di assorbimento di carbonio nelle diverse regioni del Pianeta che ospitano il permafrost, il suolo che si mantiene ghiacciato in modo permanente o nel lungo periodo (almeno due anni). L’aumento delle temperature, in particolare, fa crescere la capacità di cattura dell’elemento negli ecosistemi artici. Riducendo però, al tempo stesso, quella delle aree alpine. Lo afferma uno studio pubblicato sulla rivista Science Advances e condotto dai ricercatori dell’Istituto di Fisica Atmosferica dell’Accademia Cinese delle Scienze.

Il permafrost supererà il punto di non ritorno?

Il permafrost, ricordano gli autori, copre il 17% circa della superficie terrestre e immagazzina un terzo del carbonio organico presente nel suolo del Pianeta. “Con il riscaldamento climatico, lo scioglimento del permafrost che ne deriva fa crescere la decomposizione microbica del carbonio organico nel suolo e quindi le emissioni di gas serra, innescando potenzialmente ulteriori aumenti delle temperature atmosferiche “, sottolinea lo studio. ”Tuttavia, lo scambio netto di gas serra, in particolare di CO2, dipende dalla risposta della vegetazione al riscaldamento e ai conseguenti cambiamenti nella disponibilità di nutrienti nel suolo”.

Alcune stime sono preoccupanti. Nel 2023 uno studio pubblicato sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences ha messo a confronto lo scenario climatico attuale con quello di milioni di anni fa arrivando a ipotizzare la scomparsa della maggior parte del permafrost superficiale entro la fine di questo secolo.

Il timore, dunque, è che questo particolare ambiente possa superare il punto di non ritorno, innescando, spiegano gli autori, un “circolo vizioso irreversibile che accelera il riscaldamento”. Per aiutare a fornire una risposta, la ricerca punta quindi a chiarire le dinamiche che intervengono nel permafrost analizzando la risposta netta dei gas serra tenendo conto della “forte eterogeneità spaziale di questi paesaggi”.

Il serbatoio artico compensa buona parte delle emissioni alpine

Gli scienziati hanno così integrato i dati provenienti da 1.090 siti di rilevazione con quelli raccolti nelle regioni del permafrost dell’emisfero settentrionale. Qui, nel dettaglio, i ricercatori hanno misurato la risposta al riscaldamento sperimentale del suolo di tre diversi composti: anidride carbonica (CO2), metano (CH4) e protossido di azoto (N2O). “Il riscaldamento ha ridotto il serbatoio di gas serra del permafrost alpino facendo aumentare del 13% il potenziale di riscaldamento globale di questo ambiente, ma ha anche rafforzato quello del permafrost artico abbassando del 10% il suo impatto sull’aumento delle temperature”, spiegano gli autori.

In particolare, aggiungono, “Quando il riscaldamento ha causato l’essiccamento del permafrost alpino, l’assorbimento di CO2 si è ridotto mentre quello di metano (CH4) è aumentato. Al contrario, il riscaldamento del permafrost artico, relativamente umido, ha fatto salire il sequestro di CO2 e il rilascio di CH4”.

L’incremento della temperatura, infine, ha provocato un aumento delle emissioni di protossido di azoto sia nelle regioni alpine che in quelle artiche. I numeri sono bassi ma occorre comunque prestare attenzione. “Dato che l’N2O ha un potenziale di riscaldamento globale superiore di circa 273 volte a quello della CO2 nell’arco di un secolo, anche piccoli aumenti possono avere un impatto sproporzionatamente grande sul clima”, ricordano i ricercatori.

Un delicato equilibrio

A determinare questo equilibrio, afferma la ricerca, sono alcune importanti differenze regionali a cominciare dalla presenza dell’acqua e della sua variazione. Nel permafrost alpino – che si colloca ad altitudini più elevate e latitudini più basse – il contenuto di idrico nel suolo è ridotto. Il che indebolisce notevolmente l’assorbimento di carbonio attraverso la fotosintesi accelerando le emissioni dell’elemento. Nelle regioni artiche, al contrario, i terreni più umidi e la vegetazione più fitta sostengono un maggiore assorbimento di CO2.

Qui, il riscaldamento fa aumentare il contenuto di acqua nel sottosuolo, stimolando ulteriormente l’assorbimento di anidride carbonica e compensando in parte le emissioni derivanti dalla decomposizione dell’elemento nel suolo. Ma facendo anche aumentare il rilascio di metano dai terreni saturi d’acqua.

In futuro, quindi, il bilanciamento tra il declino dell’assorbimento alpino e il potenziamento del sequestro nell’Artico dipenderà dalle interazioni tra l’idrologia superficiale e lo scioglimento del ghiaccio. “L’indebolimento della capacità di assorbimento del carbonio degli ecosistemi alpini del permafrost a causa del riscaldamento globale sottolinea l’importanza di monitorare e prevedere i cambiamenti nei processi idrologici del permafrost per comprendere meglio il destino delle enormi riserve di carbonio”, concludono i ricercatori.