16 Settembre 2024

L’Africa paga un prezzo sempre più alto per il cambiamento climatico

,

Il cambiamento climatico impatta sull’agricoltura e la sicurezza alimentare dell’Africa. Costi elevati e investimenti insufficienti restano i maggiori problemi. Lo rivela l’ultimo report del Programma Onu per lo Sviluppo

di Matteo Cavallito

Ascolta “L'Africa paga un prezzo sempre più alto per il climate change” su Spreaker.

“L’Africa è responsabile di meno del 4% delle emissioni globali di carbonio, ma è molto esposta all’impatto di questo fenomeno”. Così gli esperti dello United Nations Development Programme (UNDP), introducendo, questa estate, l’ultima edizione del loro Sustainable Development Report.

Un concetto chiave, sorretto da numeri evidenti, che trova in questi giorni una nuova conferma: quella della World Meteorological Organization (WMO), intervenuta sul tema in occasione dell’uscita della sua più recente relazione periodica. “L’Africa sopporta un fardello sempre più pesante a causa del cambiamento climatico oltre a costi sproporzionati per la mitigazione”, spiega il rapporto, sottolineando, inoltre, il forte impatto del riscaldamento globale sull’agricoltura e la sicurezza alimentare.

Un continente sempre più caldo

Con una temperatura superiore di oltre mezzo grado  (+0,61° C) rispetto alla media del periodo 1991-2020 e di oltre un grado (+1,23° C) nel confronto a lungo termine 1961-1990, il 2023 è stato per l’Africa uno dei tre anni più caldi dall’inizio del XX secolo a oggi. Il continente, spiega il rapporto, si è riscaldato a un ritmo leggermente più veloce rispetto alla media globale, con un aumento di 0,3 gradi per decennio negli ultimi trent’anni.

Lo scorso anno, le anomalie di temperatura più rilevanti sono state registrate nella parte nord-occidentale, soprattutto nelle zone costiere della Mauritania, in Algeria e nel Marocco che, così come diversi altri Paesi, tra cui Mali, Tanzania e Uganda, ha registrato l’anno più caldo della sua storia. Ondate di calore estremo, infine, hanno colpito le regioni settentrionali: 49°C i gradi registrati nella giornata più calda a Tunisi, 50,4°C quelli rilevati nella città marocchina di Agadir, nel sud-ovest del Paese.

Differenza di temperatura in °C per l’Africa tra il 1900 e il 2023 rispetto alla media registrata nel periodo climatologico 1991-2020. Fonte: WMO su dati Berkeley Earth, ERA5, GISTEMP, HadCRUT5, JRA-55, NOAAGlobalTemp. Press Release https://wmo.int/news/media-centre/africa-faces-disproportionate-burden-from-climate-change-and-adaptation-costs, settembre 2024.

Differenza di temperatura in °C per l’Africa tra il 1900 e il 2023 rispetto alla media registrata nel periodo climatologico 1991-2020. Fonte: WMO su dati Berkeley Earth, ERA5, GISTEMP, HadCRUT5, JRA-55, NOAAGlobalTemp. Press Release, settembre 2024.

In Africa cresce l’impatto degli eventi estremi

Il risultato, ovviamente, è stata un’alta frequenza di eventi estremi. Le alluvioni hanno colpito gravemente la Libia provocando quasi 5.000 morti e non hanno risparmiato Kenya,  Somalia ed Etiopia con oltre 350 decessi e 2,4 milioni di sfollati registrati durante la stagione delle piogge tra aprile e giugno. Le inondazioni hanno colpito inoltre Mozambico, Ruanda, Repubblica Democratica del Congo, Sud Sudan e molti altri Paesi, tra cui Niger, Benin, Ghana e Nigeria.

La siccità ha investito il Corno d’Africa, già duramente colpito dallo stesso fenomeno lo scorso anno, così come Marocco, Algeria, Tunisia, Nigeria, Camerun, Etiopia, Madagascar, Angola, Zimbabwe e Repubblica Democratica del Congo oltre allo Zambia che ha affrontato la peggiore carenza idrica degli ultimi 40 anni. L’evento ha interessato nel Paese otto province su dieci impattando su un totale di sei milioni di persone.

Effetti evidenti per l’agricoltura

Gli eventi metereologici, ovviamente, hanno impattato sull’agricoltura e sulla sicurezza alimentare. Lo scorso anno, ad esempio, la produzione cerealicola del Nord Africa è stata di 33 milioni di tonnellate, circa il 10% in meno rispetto alla media quinquennale. Contemporaneamente, le precipitazioni irregolari hanno colpito le stesse colture cerealicole in Sudan e Sud Sudan, Uganda, Eritrea, Etiopia e Kenya.

In questo scenario, spiega il rapporto, si rendono necessari interventi di mitigazione. Che implicano però una spesa notevole. “Lo sviluppo resiliente al clima in Africa richiede investimenti nelle infrastrutture idrometeorologiche e nei sistemi di allerta precoce per prepararsi all’aumento del numero di eventi pericolosi ad alto impatto”, spiegano gli autori. Nella sola Africa Subsahariana, aggiungono, “I costi annuali di adattamento sono stimati in 30-50 miliardi di dollari, pari al 2-3% del PIL regionale, nel prossimo decennio”.

Gli investimenti sono un decimo del necessario

Sempre secondo il rapporto, in assenza di risposte adeguate, entro il 2030 fino a 118 milioni di persone estremamente povere (che vivono cioè con meno di 1 dollaro e 90 centesimi al giorno) saranno esposte a siccità, inondazioni e caldo estremo. Determinando costi ulteriori per la riduzione della povertà ostacolando al tempo stesso la crescita. Una situazione, insomma, che richiama il paradosso di un Continente colpito da un cambiamento climatico determinato da attività antropiche che si verificano quasi esclusivamente altrove.

Nel 2022, scriveva lo United Nations Development Programme “sono state oltre 110 milioni (in Africa, ndr) le persone che sono state direttamente colpite dai rischi legati al clima, alle condizioni meteorologiche e all’acqua, con danni economici stimati in 8,5 miliardi di dollari“.

Per questo occorre fare di più. “Pochi progressi”, infatti, sono stati fatti “nell’adozione e nell’attuazione di politiche per ridurre il rischio di catastrofi”, considerando che fino a ora “solo 29 dei 54 Paesi africani hanno stabilito strategie nazionali e locali in tal senso”. Gli investimenti finanziari nel sostegno alla mitigazione climatica, inoltre, sono tuttora concentrati in pochi Paesi e restano largamente insufficienti. Al momento, infatti, “i flussi annuali di finanziamenti di questo tipo verso l’Africa da fonti nazionali ed estere sono pari a soli 29,5 miliardi di dollari, equivalenti all’11% del fabbisogno totale”.