5 Settembre 2025

“Ripensare i sistemi alimentari per frenare il degrado del suolo”

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In un articolo pubblicato su Nature, 21 scienziati hanno formulato una serie di proposte per frenare lo spreco di cibo e diffondere la gestione sostenibile dei terreni agricoli. Tutte insieme permetterebbero di sottrarre al degrado un’area grande come l’intera Africa

di Emanuele Isonio

 

Affrontare allo stesso tempo il degrado del suolo, la perdita di biodiversità e il cambiamento climatico? È possibile. A patto di ripensare i sistemi alimentari mondiali. Lo sostengono 21 importanti scienziati, che hanno firmato insieme un lungo articolo apparso nelle settimane scorse su Nature.

Obiettivo: dimezzare i terreni degradati entro il 2050

Gli autori sottolineano in particolare l’importanza di fermare lo spreco alimentare e di gestire i terreni in modo sostenibile. Pongono poi un obiettivo ambizioso ma raggiungibile: ripristinare il 50% dei terreni degradati entro il 2050, attraverso pratiche di gestione sostenibile. Un’azione che equivarrebbe al ripristino di 3 milioni di km² di terreni coltivabili e 10 milioni di km² di terreni non coltivabili, per un totale di 13 milioni di km².

“La terra è più che suolo e spazio. Ospita biodiversità, gestisce il ciclo dell’acqua, immagazzina carbonio e regola il clima. Ci fornisce cibo, sostiene la vita e custodisce profonde radici di antenati e conoscenza” spiega Elisabeth Huber-Sannwald, coautrice dell’articolo e docente dell’Instituto Potosino de Investigación Científica y Tecnológiva di San Luis Potosí in Messico. “Oggi, oltre un terzo del territorio terrestre è utilizzato per coltivare cibo, nutrendo una popolazione globale di oltre 8 miliardi di persone. Eppure, le pratiche agricole insostenibili, la deforestazione e lo sfruttamento eccessivo stanno degradando il suolo, inquinando l’acqua e distruggendo ecosistemi vitali”.

L’autrice ricorda inoltre che la sola produzione alimentare è responsabile di quasi il 20% delle emissioni globali di gas serra. “Dobbiamo agire. Per garantire un futuro prospero e proteggere la terra, dobbiamo reinventare il nostro modo di coltivare, di vivere e di relazionarci con la natura e con gli altri. È tempo di una gestione responsabile del territorio: prenderci cura della terra come di un alleato vivente, non più come di una risorsa da sfruttare”.

Incentivi economici e fiscali

L’esigenza di agire senza indugio è legata anche al fatto che, più il degrado del suolo avanza, più è difficile tornare indietro. E i problemi connessi, non solo ambientali, crescono esponenzialmente: “Una volta che i terreni perdono fertilità, le falde acquifere si esauriscono e la biodiversità si perde, il ripristino del territorio diventa esponenzialmente più costoso. I continui tassi di degrado del suolo contribuiscono a una serie di crescenti sfide globali, tra cui insicurezza alimentare e idrica, trasferimenti forzati e migrazioni della popolazione, disordini sociali e disuguaglianza economica” sottolinea il direttore scientifico dell’UNCCD, Barron J. Orr, anche lui coautore dell’analisi.

Per riuscire nell’intento di ripristinare i terreni degradati, gli autori suggeriscono di utilizzare la leva fiscale ed economica: da un lato, spostando i sussidi agricoli dalle grandi aziende industriali ai piccoli proprietari terrieri, promuovendo il loro accesso alla tecnologia, a diritti fondiari sicuri e a mercati equi. Dall’altro lato, introducendo “tasse o tariffe basate sulla terra” per premiare chi pratica l’agricoltura sostenibile a basso impatto e penalizzare invece chi inquina di più. Altrettanto importante migliorare le rendicontazioni delle emissioni e l’impatto sull’uso del suolo e diffondere etichette ambientali in grado di guidare le scelte consapevoli dei consumatori.

Specare cibo spreca territorio

Un’altra raccomandazione chiave dei 21 esperti è la riduzione dello spreco alimentare del 75%. Secondo le loro stime, 56,5 milioni di km² di terreni agricoli (coltivati ​​e pascoli) vengono utilizzati per produrre cibo. Tuttavia, circa il 33% di esso viene sprecato: il 14% perso dopo il raccolto nelle aziende agricole e il 19% nelle fasi di vendita al dettaglio, ristorazione e consumo domestico.

Tra le proposte più efficaci per raggiungere l’obiettivo, gli autori ricordano le politiche di contrasto alla sovrapproduzione, il divieto di scartare i prodotti “esteticamente brutti”, lo stidmolo alle donazioni di cibo e alle vendite scontate di prodotti prossimi alla scadenza, incentivi alle piccole aziende agricole per migliorare stoccaggio e trasporto, campagne educative per ridurre gli sprechi domestici.

Tra le buone pratiche espressamente citate nel documento c’è la nuova legislazione spagnola: essa impone ai punti vendita di donare o vendere cibo in eccedenza, ai ristoranti di offrire contenitori da asporto e a tutti gli attori della filiera alimentare di attuare piani formali di riduzione degli sprechi alimentari.

Nuovi regimi alimentari

C’è poi il capitolo dedicato al cambiamento dei regimi alimentari. L’abuso di carne, soprattutto rossa, è infatti un problema non solo sanitario (che danneggia la salute in particolare nei Paesi più ricchi) ma anche ambientale. Per “invertire la curva”, nell’articolo si propone una integrazione dei sistemi alimentari terrestri e marini. “La carne rossa prodotta in modo non sostenibile – si legge – consuma grandi quantità di terra, acqua e mangimi ed emette significative emissioni di gas serra. I frutti di mare e le alghe sono alternative sostenibili e nutrienti. Le alghe, ad esempio, non necessitano di acqua dolce e assorbono il carbonio atmosferico. Un’acquacoltura responsabile, concentrandosi su specie a basso impatto come le cozze e i prodotti derivati ​​dalle alghe, può ridurre la pressione sul territorio”.

Effetti delle misure proposte

Se si sostituisse il 70% della carne rossa prodotta in modo insostenibile con prodotti ittici di provenienza sostenibile, si risparmierebbero 17,1 km² di terreno attualmente utilizzato per pascoli e mangimi per il bestiame.

Ma, considerando l’impatto anche della riduzione degli sprechi, l’area di terreno risparmiato salirebbe a poco meno di 31 milioni di km². Ovvero, un’area approssimativamente equivalente a quella dell’Africa. Aggiungendo anche il ripristino dei terreni degradati, si avrebbe poi una mitigazione delle emissioni pari a circa 13 Gigatonnellate di CO2 equivalente ogni anno, fino al 2050.