Nelle foreste dell’Amazzonia lo stress post incendi può durare diversi decenni
Una ricerca della NASA rileva come le foreste della regione colpite dalle fiamme si mantengano più calde del normale per almeno 30 anni. Con ovvie conseguenze per la loro capacità di conservazione del carbonio e di mitigazione climatica
di Matteo Cavallito
Gli effetti degli incendi sulle foreste dell’Amazzonia brasiliana possono durare molto a lungo con importanti conseguenze per il bilancio complessivo del carbonio. A sottolinearlo è una recente ricerca americana secondo la quale le aree danneggiate dalle fiamme si manterrebbero più calde di circa 2,6 °C rispetto a quelle non colpite. Questo calore in eccesso, inoltre, può persistere per almeno 30 anni. Il fuoco, insomma, altera le foreste rallentandone il recupero e riducendone la capacità di immagazzinare carbonio ovvero di contribuire alla mitigazione climatica globale.
“Stiamo scoprendo che gli incendi hanno impatti ecologici significativi su lunghi intervalli di tempo”, ha spiegato Savannah S. Cooley, scienziata dell’Ames Research Center della NASA e co-autrice dello studio pubblicato sulla rivista Environmental Research Letters. Quanto alla rigenerazione, ha aggiunto, risulta “molto più a rischio—più lenta o addirittura assente”.
Dopo le fiamme cresce l’instabilità termica
Analizzando le immagini satellitari del municipio di Feliz Natal, nel sud-est dell’Amazzonia, un’area caratterizzata fin dagli anni ’80 del secolo scorso da intensi incendi e dal disboscamento, i ricercatori hanno condotto il primo confronto termico sistematico tra foreste bruciate, disboscate selettivamente e intatte. L’indagine, realizzata in collaborazione con la Climate School della Columbia University, ha preso in esame tre anni di dati sulla temperatura superficiale del suolo analizzando inoltre più di 6.700 osservazioni a terra.
In questo modo gli autori hanno potuto monitorare con quale frequenza le foglie esposte al sole superassero i limiti critici oltre i quali la fotosintesi rallenta o si verificano danni ai tessuti.
Oltre a essere mediamente più calde, spiegano, le foreste bruciate nell’area di studio sono risultate anche più instabili dal punto di vista termico. Durante i picchi di calore nella stagione secca, infatti, “l’87% delle foglie nelle zone bruciate più calde ha varcato la soglia di temperatura oltre la quale la respirazione supera la fotosintesi, rispetto al 72-74% circa delle foreste intatte e disboscate”, si legge nello studio.
Nelle foreste bruciate i danni permanenti sono 10 volte più probabili
E non è tutto. Le aree colpite dagli incendi hanno sperimentato nel tempo un recupero termico modesto impiegando ben 30 anni per registrare una diminuzione media di 1,2 °C circa. Inoltre, per quanto bassa in valore assoluto, la probabilità di superare le soglie critiche di temperatura che causano danni permanenti alle foglie era dieci volte più alta nelle foreste bruciate. Un dato che ha ovvie implicazioni per il futuro della rigenerazione forestale.
Nelle aree tropicali, spiegano gli scienziati, “Le foreste bruciate avranno tassi di mortalità degli alberi significativamente più elevati e un recupero della biomassa più lento rispetto a quelle intatte o disboscate selettivamente, soprattutto nelle regioni con disponibilità d’acqua limitata, dove gli alberi non possono contare sul raffreddamento per evaporazione per moderare la temperatura della chioma”.
Riassumendo, gli incendi diradano la chioma superiore, eliminano la vegetazione di livello medio e inferiore e riducono la superficie fogliare facendo diminuire l’ombra e la traspirazione che, normalmente, contribuiscono a raffreddare la foresta. Le fiamme, inoltre, creano margini a contatto con terreni disboscati, consentendo all’aria più calda di penetrare all’interno della foresta che, di conseguenza, trattiene il calore in eccesso finché i suoi strati vegetativi non si ricostituiscono. Un processo che può richiedere decenni.
I benefici climatici del ripristino forestale possono essere sovrastimati
Dietro alla maggiore vulnerabilità delle regioni osservate ci sono dunque le loro stesse caratteristiche strutturali. A differenza di ecosistemi adattati al fuoco, come le savane o le pinete, infatti, le foreste pluviali amazzoniche si sono evolute in condizioni umide che hanno reso rari gli incendi naturali. Di conseguenza, molte specie arboree tropicali non hanno sviluppato caratteristiche per tollerare o riprendersi dai danni causati dal fuoco.
I risultati dello studio forniscono un contributo importante per una definizione migliore delle strategie di mitigazione e riforestazione che, ricordano gli scienziati, spesso trattano le foreste degradate come un’unica categoria con il rischio di non cogliere in pieno la fragilità specifica delle foreste tropicali sottovalutando i danni prolungati dello stress termico. Ovvero sovrastimando i benefici in termini di mitigazione derivanti dalla rigenerazione delle foreste.

Bruno Kelly/Amazônia Real/11/08/2020 Attribution 2.0 Generic CC BY 2.0 Deed
Patrick Domke / ETH Zurich, per uso non commerciale
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